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Cultura e mercato: un binomio possibile ed auspicabile

Data 01/12/2020       Categoria Articoli e pubblicazioni
Autore Admin

Cultura e mercato: un binomio possibile ed auspicabile

Occorre di conseguenza porre le basi per un nuovo approccio alla materia. Per far ciò è ovviamente necessaria la collaborazione di tutte le parti in causa: il legislatore, i conservatori (biblioteche, soprintendenze, forze dell’ordine, ecc.) e gli antiquari.
Ora, restringendo il campo al mondo del libro antico che è quello di competenza dell’A.L.A.I., ed in particolare al libro a stampa (tralascio in questa sede di discutere il problema in parte diverso del manoscritto), ossia di un bene culturale che ha la particolarità rispetto a molti altri di essere un multiplo e di nascere come bene commerciale (le prime officine tipografiche si costituiscono e operano da subito come delle vere e proprie imprese commerciali), un approccio onnicomprensivo che tenga conto anche del valore sul mercato attuale di un certo libro pare oggi per molti versi indispensabile.
Se il libro è per sua natura un oggetto seriale ed un bene commerciale, ne consegue che la conoscenza del suo valore economico non rappresenta un dato accessorio, ma un fatto essenziale per la sua comprensione e, soprattutto, per la sua conservazione. Il legislatore italiano, si sa, a differenza di quello di molti altri paesi europei che, come noi, negli ultimi cinque secoli hanno stampato ingenti quantità di libri, non ritiene rilevante porre attenzione su questo aspetto, ritenuto svilente ed aleatorio.
In realtà, forse in nessun altro caso come in quello del libro antico, il valore commerciale può essere stabilito con buona approssimazione, proprio attraverso il confronto fra vari esemplari offerti contemporaneamente sul mercato oppure inseguendo le tracce lasciate in passato su vecchi cataloghi di case d’aste o di librai antiquari da altre copie dello stesso libro.
Un nuovo approccio culturale e legislativo aperto al mercato avrebbe quindi il pregio di concentrare attenzione e mezzi laddove ne varrebbe veramente la pena. Questo consentirebbe infatti sia di meglio tutelare i nostri beni culturali, al di là della vuota retorica che considera ognuno di essi come una reliquia intoccabile di “valore inestimabile”, sia di valorizzarli, permettendo quella fruizione attiva che porta in ultimo anche ad un profitto economico per lo stato.
Concludo a questo riguardo con due dati a mio avviso estremamente emblematici (rapporto 2011 Centro ASK Bocconi):
1) le risorse destinate al Mibac, nel periodo 2005-2009, hanno registrato una contrazione del 33%, equivalente ad un calo del 15% delle spese correnti e ad un calo del 65% delle spese in conto capitale, ossia degli investimenti e trasferimenti in conto capitale.
2) il British Museum e il Louvre incassano insieme di merchandising e servizi aggiuntivi (librerie, bar, ristoranti, ecc.) più di tutti i musei statali italiani messi insieme, a fronte di un numero di visitatori che è inferiore di oltre la metà.


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