MANZONI, Alessandro (1785-1873). I promessi sposi storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Milano, Vincenzo Ferrario, 1825-1826.
PRIMA EDIZIONE della prima redazione del più celebre romanzo della nostra letteratura, il cui impatto, a livello culturale e linguistico, nella formazione di generazioni di Italiani può difficilmente essere sottovalutato.
Terminata la composizione dell’Adelchi e del Cinque maggio, Manzoni nel 1821 cominciò quella di Fermo e Lucia. La prima stesura del romanzo fu condotta a compimento nel settembre del 1823. L’anno seguente Manzoni stipulò un contratto con l’editore Vincenzo Ferrario, uno dei primi a divulgare in Italia i romanzi di Walter Scott, ed ottenne l’imprimatur per la sua opera, che nel frattempo era stata rivista e aveva cambiato nome in Gli sposi promessi.
La prima edizione de I Promessi sposi, benché rechi le date 1825-1826, fu in realtà finita nel giugno del 1827 (da qui il nome di “ventisettana” con cui è universalmente conosciuta), a causa delle continue correzioni dell’autore, che pressoché ogni giorno si recava in tipografia a controllare e modificare le bozze di stampa. Il successo fu folgorante: le duemila copie della tiratura comune e le poche altre in carta velina andarono esaurite in meno di due mesi e, già a partire dal dicembre del ’27, con grande disperazione dell’autore, apparvero sul mercato ben otto edizioni, più o meno “pirata”.
Nel luglio del 1827, insoddisfatto della lingua del romanzo, Manzoni si trasferì con l’intera famiglia a Firenze, dove presso il Gabinetto Vieusseux trovò l’aiuto che cercava per ripulire I promessi sposi dai troppi termini dialettali lombardi. La cosidetta «sciacquatura in Arno» continuò anche a Milano, dove Manzoni lavorò al suo romanzo per altri dieci anni alla ricerca di quella lingua nazionale, cui tanto agognava. Nel 1840 si accordò finalmente con i tipografi Guglielmini e Radaelli per la stampa della seconda edizione. Per evitare l’eccezionale fioritura di contraffazioni che si era avuta in passato, Manzoni decise di pubblicare l’opera in una sontuosa veste grafica, corredata da un ricco apparato iconografico, che ne rendesse più difficile la riproduzione. Le illustrazioni furono affidate al pittore torinese Francesco Gonin, che ne realizzò la maggior parte; le restanti sono opera di Paolo e Luigi Riccardi, Massimo D’Azeglio, Giuseppe Sogni, Luigi Bisi e Federico Moia.
L’edizione “quarantana” (Milano, Tipografia Guglielmini e Radaelli, 1840), contenente per la prima volta la Storia della colonna infame, uscì in sottoscrizione a spese dell’autore, ma, nonostante le ottime aspettative di quest’ultimo, l’operazione si rivelò un fiasco: delle diecimila copie tirate solo la metà fu venduta attraverso le sottoscrizioni e Manzoni ci rimise quasi la metà del capitale investito. Per di più, nonostante le precauzioni prese, ricominciò ben presto la giostra delle contraffazioni.
Alessandro Manzoni, milanese, nipote da parte di madre di Cesare Beccaria, fu educato in rigidi collegi religiosi. Nel 1805 raggiunse la madre a Parigi, dove rimase per alcuni anni e conobbe, tra gli altri, Claude Fauriel, il quale esercitò una forte influenza sul suo pensiero.
Nel 1808 Manzoni sposò a Milano Henriette Blondel, figlia di un banchiere ginevrino di fede calvinista, da cui ebbe dieci figli. Grazie all’intermediazione del sacerdote giansenista genovese Eustachio Degola, la coppia si avvicinò al cattolicesimo. In conseguenza di questa conversione, Manzoni compose gli Inni Sacri e il trattato Osservazioni sulla morale cattolica. Nel 1820 pubblicò invece la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che, come la seguente (Adelchi, 1822), nonostante le lodi ricevute da Goethe, non fu mai messa in scena. La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio.
La perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei suoi figli, tra cui la primogenita Giulia, moglie di Massimo D’Azeglio. Il 2 gennaio 1837 sposò in seconde nozze Teresa Borri. Egli sopravvisse pure a quest’ultima, mentre dei nove figli nati dal primo matrimonio solo due morirono dopo il padre.
Nel 1860 Manzoni fu nominato senatore nel primo parlamento dell’Italia unita. Come presidente della commissione parlamentare sulla lingua, nel 1868 scrisse un breve articolo sulla lingua italiana, Dell’unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla, seguito da una più estesa dissertazione intitolata Appendice alla relazione intorno all’unita della lingua e ai mezzi di diffonderla (Milano, 1869). Sin dagl’anni della rielaborazione linguistica dei Promessi sposi, l’interesse di Manzoni per la lingua fu sempre costante. Egli intravide presto che la lingua toscana parlata fosse da adottare senza riserve come sola e vera lingua degli Italiani. Già prima della nomina a presidente della commissione, egli affrontò la questione non solo su un piano estetico, ma anche come problema di interesse civile.
Manzoni morì di meningite cerebrale il 22 maggio del 1873.
Descrizione fisica. Tre volumi in 8vo di pp. (4), 352 + (4), 368 + (4), 416, (2).
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010