Classici Italiani
L'invenzione del barometro - 1715

Data 01/12/2020       Categoria Classici Italiani
Autore Admin

L'invenzione del barometro - 1715

TORRICELLI, Evangelista (1618-1647). Lezioni accademiche. Firenze, Jacopo Guiducci e Santi Franchi, 1715.

 

PRIMA EDIZIONE, pubblicata postuma da Tommaso Bonaventuri, delle lezioni che Evangelista Torricelli tenne presso l’Accademia della Crusca, lo Studio Fiorentino e l’Accademia del Disegno.

L’opera contiene dissertazioni sul moto, la luce, il vento, l’architettura militare e un’orazione in lode della matematica. Ma soprattutto, nell’introduzione, sono stampate le due lettere che il Torricelli inviò a Michelangelo Ricci l’11 e il 28 giugno del 1644, nelle quali descrisse i suoi celebri esperimenti sulla pressione atmosferica e sul barometro.

Quando si scavavano i pozzi, l’esperienza empirica aveva dimostrato che l’acqua nelle pompe aspiranti non riusciva a salire oltre i nove metri. Galileo aveva spiegato il fenomeno con la teoria della forza del vuoto, che Giovanni Battista Baliani aveva rigettato. Torricelli, sapendo che il peso del mercurio era superiore a quello dell’acqua, volle provare a verificare l’altezza di una colonna di mercurio. Egli si fece costruire da Vincenzo Viviani un tubo di vetro della lunghezza di un metro, in grado di reggere il peso del mercurio (impresa non facile per quei tempi), e lo riempì. Quindi immerse il tubo, sul lato aperto, in una vasca piena dello stesso liquido. Nasceva così il barometro.

Egli notò da subito variazioni di altezza della colonna in rapporto alle diverse condizioni atmosferiche. Per avere conferma che la forza che sospingeva la colonna liquida non fosse interna al tubo (ossia la forza del vuoto), ma esterna, egli riprodusse l’esperimento con un tubo soffiato sulla sommità chiusa a formare una sfera, ma contenente lo stessa quantità di mercurio. Non era dunque il volume del vuoto a determinare la spinta, ma la pressione atmosferica.

Copie delle lettere di Torricelli a Michelangelo Ricci circolarono manoscrite tra gli scienziati italiani e giunsero nelle mani di M. Mersenne, che le portò in Francia, provando a replicarne gli esperimenti.

Evangelista Torricelli fu educato dallo zio Jacopo, monaco camaldolese, e frequentò i corsi di matematica e filosofia del collegio dei Gesuiti di Faenza, sua città natale. Accortosi delle sue doti fuori dall’ordinario, lo zio lo inviò a Roma alla scuola di Benedetto Castelli, che era membro del suo stesso ordine. Anche Castelli si avvide presto della genialità del ragazzo e lo volle come suo segretario. Grazie al maestro, Torricelli entrò in corrispondenza con Galileo, al quale scrisse di essere un copernicano e galileiano convinto. Tra il 1631 e il 1640 egli fu probabilmente al servizio di monsignor Giovanni Ciampoli, protettore ed amico di Galileo e governatore di varie città umbre e marchigiane. Nel 1641 fece ritorno a Roma, dove tenne lezione al posto di Castelli. Questi poco dopo lo invitò a rendere visita a Galileo ad Arcetri. Torricelli vi arrivò il 10 ottobre del 1641 e vi rimase, insieme a Vincenzo Viviani, fino alla morte del comune maestro, che avvenne l’8 gennaio del 1642.

Mentre si preparava a rientrare a Roma, il duca Ferdinando II lo invitò a Firenze, assegnandogli il posto che era stato di Galileo. Egli rimase nella città toscana fino alla morte (1647), passandovi gli anni più sereni e proficui della sua vita.

A Firenze nel 1644 apparve l’unico libro da lui pubblicato in vita, l’Opera geometrica, comprendente il De solidis sphaeralibus, il De Motu, il De dimensione parabolae e il De solido hyperbolico cum appendicibus de cycloide, et cochlea. Il volume, di grande importanza nella storia della matematica, della geometria e della fisica, fu interamente finanziato dal granduca. Torricelli si distinse anche come abile costruttore di lenti per telescopio.

 

Descrizione fisica. Un volume in 4to di pp. XLIX, (1), 96, (2). Con il ritratto dell’autore in antiporta inciso da Pietro Anichini e 3 illustrazioni in legno nel testo, tra cui quella relativa all’ “esperienza dell’argento vivo”. L’ultima carta, contenente l’imprimatur, non è presente in tutti gli esemplari.

F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010






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