BORELLI, Giovanni Alfonso (1608-1679). De motu animalium. Roma, Angelo Bernabò, 1680-1681.
PRIMA EDIZIONE, pubblicata postuma per le cure di Carlo Giovanni Pirroni, dell’opera che, applicando per la prima volta le leggi della meccanica all’analisi del movimento degli esseri viventi, segna la nascita della biomeccanica.
Terminato poco prima di morire, il volume fu finanziato dalla regina Cristina di Svezia e pubblicato grazie all’intercessione dei padri scolopi, che svolsero un ruolo chiave nel rilascio della concessione di stampa, altrimenti difficilmente ottenibile per un libro di impronta così marcatamente meccanicistica e galileiana.
Il De motu tratta del moto esterno degli animali (camminata, corsa, salto, sollevamento pesi, volo degli uccelli e degli insetti, movimento natatorio), esaminandone la struttura scheletrica alla stregua di un sistema di leve. Discute quindi dei meccanismi della contrazione muscolare, che riconduce, discostandosi da Cartesio, a complessi processi chimici. Parlando del volo, dimostra in modo rigoroso l’incompatibilità con esso della muscolatura e dell’ossatura umana.
La seconda parte dell’opera è invece dedicata ai moti interni dell’organismo. Il battito cardiaco viene ricondotto ad una semplice contrazione muscolare, mentre la circolazione (linfatica, venosa ed arteriosa) e il sistema nervoso sono descritti sulla base di principi idraulici.
Giovanni Alfonso Borelli nacque a Napoli da padre spagnolo, ma ricevette il cognome materno. Dal 1630 fu allievo a Roma di Benedetto Castelli e godé della protezione di Tommaso Campanella. Nella città capitolina strinse anche amicizia con alcuni allievi del Castelli, tra questi Evangelista Torricelli e Famiano Michelini, con cui rimase in contatto negli anni seguenti.
Nel 1637 si trasferì a Messina, dove due anni dopo fu nominato docente di matematica, innestando il suo insegnamento su quello del geniale Francesco Maurolico. Tra il 1641 e il 1642 il Senato cittadino lo incaricò di compiere un viaggio per la penisola per reclutare nuovi docenti per l’università messinese. Borelli visitò Venezia, Roma, Napoli, Firenze e Genova, incontrando i maggiori matematici italiani, cui espose le sue teorie, poi pubblicate nel 1658 nell’Euclides restitutus.
Nel 1656 accettò l’offerta dell’Università di Pisa e si recò nella città toscana ad insegnare matematica. Parallelamente all’attività didattica, Borelli si dedicò alacremente alle ricerche biologiche e fisiologiche che avrebbero portato alla stesura del De motu animalium.
Nel 1657 entrò a far parte della neo-costituita Accademia del Cimento, all’interno della quale si scontrò con l’allievo di Galileo, Vincenzo Viviani, circa l’edizione dei Conici di Apollonio di Perge. Borelli svolse un ruolo da assoluto protagonista all’interno della celebre istituzione, partecipando praticamente a tutti gli esperimenti in essa condotti. Dal 1664 fece costruire vari telescopi e compì osservazioni astronomiche sui satelliti di Giove, poi confluite nelle Theoricae mediceorum planetarum (Firenze, 1666). Nel 1667 lasciò la Toscana e fece ritorno a Messina, ma prima pubblicò a Bologna l’importante trattato di meccanica sull’energia cinetica e la resistenza agli urti, De vi percussionis.
Nel 1669 fu incaricato dall’Accademia del Cimento e dalla Royal Society di Londra di stendere una relazione sull’eruzione dell’Etna verificatasi in quell’anno. Il rapporto, che si dilatò fino a diventare un vero e proprio saggio, fu pubblicato a Reggio Calabria nel 1670. La Historia, et meteorologia incendii Aetnaei anni 1669 è da molti considerata come la prima opera moderna di vulcanologia.
Cacciato dalla Sicilia nel 1672 per aver preso parte ad una congiura contro il governatore spagnolo dell’isola, Borelli si trasferì a Roma, dove partecipò alle riunioni del gruppo di intellettuali che promosse il “Giornale de’ Letterati” e divenne membro dell’accademia della regina Cristina di Svezia. Negli ultimi anni, per ristrettezze economiche, visse ospite dei padri scolopi della chiesa di S. Pantaleo. Morì a Roma nel 1679.
Descrizione fisica. Due volumi in 4to di pp. (12), 376, (12) + (4), 520 con XVIII tavole fuori testo incise in rame da Francesco Donia.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010