[PALLAVICINO, Ferrante (1616-1644)]. Il corriero svaligiato. Publicato da Ginifacio Spironcini. Norimberga [ma Venezia], Hans Iacob Stoer [ma Francesco Picenini], 1641.
PRIMA EDIZIONE. Piacentino, di nobile famiglia, Ferrante Pallavicino fu avviato alla carriera ecclesiastica e compì la propria formazione a Milano. Nel 1634 si trasferì a Venezia, dove si dedicò agli studi letterari e condusse una vita mondana e dissipata. L’anno seguente conobbe Giovan Francesco Loredano, nobile e potente uomo di stato, che lo introdusse nell’Accademia degli Incogniti, di cui era l’ispiratore.
In quegl’anni, grazie al tacito benestare delle autorità veneziane, che dai tempi dell’interdetto (1606) erano in aperta lotta contro il potere religioso, al quale avevano sottratto l’uso dell’imprimatur, riservando la delibera in materia di censura ai Riformatori dello Studio di Padova, l’Accademia, influenzata dal pensiero materialista dell’aristotelico Cesare Cremonini, che era stato il maestro di molti dei suoi fondatori, stava rilanciando una nuova strategia editoriale, basata principalmente sul romanzo. Il successo veniva soprattutto perseguito smerciando, attraverso una collaudata rete clandestina, opere di aspra satira antipapale e antigesuitica e dagli espliciti contenuti erotici.
Nel giro di pochi anni, fra il 1635 e il 1640, Pallavicino pubblicò per conto degli Incogniti un gran numero di opere, per lo più novelle, epitalami, romanzi sacri e profani. Rientrato a Venezia nel 1641 dopo un breve viaggio in Germania, all’apice del successo procuratogli dalla fama di scrittore proibito, pubblicò il Corriero svaligiato sotto lo pseudonimo di Ginifacio Spironcini e con il falso luogo di stampa Norimberga. Come editore veniva accreditato un certo Hans Jacob Stoer, che era effettivamente un tipografo attivo a Norimberga in quel periodo. L’edizione fu in realtà curata da un piccolo libraio veneziano, specializzato in opere clandestine, di nome Francesco Picenini.
L’opera si snoda in quarantanove lettere, che si finge vengano rubate ad un corriere milanese diretto a Napoli per conto di un principe italiano, ansioso di venire a conoscenza di possibili trame a suo danno. Salvo le lettere di interesse politico, che vengono subito sequestrate, il restante contenuto della bisaccia del corriere viene letto da quattro aristocratici di corte, che si divertono fra loro a commentarle: si tratta per lo più di lettere amorose, talvolta al limite dell’osceno, su meretrici veneziane, vecchi viziosi e seduttori impenitenti o di epistole satiriche, che dileggiano nobili, letterati, cortigiani spagnoli e corrotti uomini del clero.
Nella lettera XXXIX, in cui Pallavicino compare esplicitamente come autore, vi è poi una delle prime grandi denunce dell’Italia posttridentina contro la censura, considerata inutile e persino controproducente, perché finisce con aumentare il pregio e il successo dei libri.
Nonostante il clima di tolleranza della città lagunare, il Corriere svaligiato attirò su di sé le attenzioni delle autorità ecclesiastiche ed in particolare del nunzio apostolico a Venezia, Francesco Vitelli, che era per di più indignato dal fatto che una siffatta opera fosse uscita con regolare licenza. Lo scandalo fu tale che il governo veneziano per tacitare le acque fu costretto ad arrestare il Pallavicino. Questi rimase in carcere dal settembre del 1641 al marzo del 1642, quindi fu liberato senza nessuna delibera a suo carico. Vitelli, furioso, fu quindi costretto a comprare e bruciare tutti gli esemplari del libro che gli riuscì di trovare. La sua dichiarazione di averli dati alle fiamme, che oggi può sembrare scontata, non lo era affatto a quell’epoca, in cui era pratica diffusa tra gli inquisitori di farsi consegnare le opere proibite per poi rivenderle sul mercato nero.
Dietro ordine diretto di Urbano VIII, che era stato più volte preso in causa personalmente negli scritti degli Incogniti, Vitelli ordinò poi ad un avventuriero francese di attirare con l’inganno il Pallavicino fuori dai confini veneziani. Sulla via per Parigi, dove si stava recando dietro il miraggio di una finta proposta del cardinale Richelieu, quest’ultimo fu arrestato, consegnato al Tribunale dell’Inquisizione, condannato per lesa maestà e decapitato.
La notizia della sua morte fece il giro d’Europa, suscitando l’indignazione generale. Come egli aveva predetto, la sua figura penetrò nell’immaginario collettivo e la sua opera continuò ad avere immensa diffusione fino alla fine del secolo, sia attraverso la ristampa dei suoi scritti sia attraverso i tentativi di imitazione che si andarono moltiplicando.
Descrizione fisica. Un volume in 12mo di pp. (20), 2 bianche, 405. Stemma nobiliare sul titolo.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010