TASSO, Torquato (1544-1595). La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, con le Figure di Bernardo Castello; et le Annotazioni di Scipio Gentili e di Giulio Guastavini. Genova, (Girolamo Bartoli), 1590.
PRIMA EDIZIONE FIGURATA, accompagnata dalle annotazioni di Scipione Gentili e Giulio Guastavini, del celebre poema epico di Torquato Tasso, uno dei massimi testi della letteratura italiana, che ebbe una genesi compositiva e delle vicende editoriali piuttosto tormentate, in quanto l’autore non si curò mai personalmente di editare il proprio testo, né autorizzò direttamente alcuna stampa di esso.
Intorno al 1565 Tasso cominciò la stesura di un poema cavalleresco, già parzialmente abbozzato in precedenza, pensando inizialmente di chiamarlo Goffredo . A differenza di Ariosto, egli intese rispettare rigorosamente le tre unità aristoteliche di luogo, tempo e azione, come ebbe modo anche di teorizzare nei Discorsi dell’arte poetica, composti in quegli stessi anni, ma pubblicati a Venezia nel 1587, nei quali egli definisce la sua idea di poema epico.
Nelle intenzioni dell’autore, il Goffredo doveva essere inoltre un’opera dilettevole e, al tempo stesso, edificante e ricca di insegnamenti morali e cristiani. La scelta dell’argomento storico (la conquista di Gerusalemme da parte dei crociati) e la volontà di non proseguire la saga dei romanzi cavallereschi di ascendenza carolingia andavano in questa direzione.
Terminata la prima stesura del Goffredo nel 1575, Tasso ne inviò copia a vari letterati del tempo per averne un giudizio. Un certo senso di insicurezza e una perenne insoddisfazione del proprio lavoro erano infatti tratti tipici del suo carattere. Dal suo epistolario è possibile rintracciare alcuni dei personaggi, quali Scipione e Vincenzo Gonzaga, Domenico Veniero, Celio Magno, Sperone Speroni e Flaminio Nobili (solo per citarne alcuni), a cui egli inviò il proprio poema e con i quali discusse per molti anni su quali modifiche e correzioni apportarvi.
Frattanto, mentre varie copie manoscritte dell’opera circolavano liberamente per le corti italiane, dove il poema era spesso soggetto ad arbitrarie interpolazioni, Tasso cominciava a dare i primi segni di squilibrio mentale.
Dal 1579 al 1586 egli rimase rinchiuso nell’Ospedale ferrarese di Sant’Anna. In quegli stessi anni si moltiplicarono le edizioni della sua opera. Dopo le prime due edizioni mutile stampate a Genova e Venezia nel 1579 e nel 1580, l’anno seguente, per merito di Angelo Ingegneri, vide la luce la prima edizione completa (salvo alcune lacune di versi) recante il titolo definitivo di Gerusalemme Liberata. L’Ingegneri, amico e ammiratore del Tasso, volle riparare in tutta fretta alle mancanze delle due stampe precedenti e fece uscire il poema, sena gli apparati e le correzioni che avrebbe voluto inserire, contemporaneamente a Casalmaggiore (in 4to) e a Parma (in 12mo).
Celio Malespina, responsabile della pessima edizione veneziana del 1580, che aveva suscitato le ire dell’autore, pensò nel 1581 di riprodurre il testo dell’edizione Ingegneri. Nel frattempo a Ferrara Febo Bonnà pubblicò nel giro di pochi mesi due edizioni che ricevettero l’approvazione del Tasso, la seconda delle quali è oggi considerata da alcuni critici come la più prossima alla volontà dell’autore.
Sul finire del 1581 il tipografo Erasmo Viotto mandò fuori a Parma, insieme agli argomenti di Orazio Ariosto, quella che sarebbe rimasta la migliore edizione della Gerusalemme liberata fino alla stampa mantovana del 1584, promossa da Scipione Gonzaga, il più intimo degli amici del Tasso.
Lo straordinario successo del poema scatenò un’aspra polemica letteraria, riguardante principalmente la contestata aderenza del poema al canone linguistico toscano, che vide schierarsi da un lato i sostenitori del Tasso e del suo poema eroico-cristiano, dall’altro i suoi oppositori che gli contrapponevano il modello ariostesco. Tasso stesso prese parte alla disputa e scrisse un’Apologia della sua opera (1585), indirizzandola agli Accademici della Crusca.
La Gerusalemme Liberata continuò ad essere stampata con frequenza costante lungo tutto il corso del Seicento e del Settecento. Tra le numerose edizioni, più o meno pregiate, si segnala senz’altro quella illustrata da Giambattista Piazzetta (Venezia, Giambattista Albrizzi, 1745), che rappresenta uno dei libri figurati italiani più belli di sempre.
Torquato Tasso nacque a Sorrento, dove il padre Bernardo, celebre letterato di origine bergamasca, si trovava in qualità di segretario del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Nel 1554 Torquato si recò a Roma per compiere gli studi. Dopo il trasferimento del padre a Venezia, questi lo raggiunse, rimanendo nella città veneta dal 1559 al 1561. In quegli anni si dedicò alla poesia e studiò dapprima legge, quindi filosofia presso l’Università di Padova. Nel 1562, dopo la pubblicazione del Rinaldo, fu chiamato da Scipione Gonzaga a far parte dell’Accademia patavina degli Eterei.
Completati gli studi, pur senza conseguire un diploma ufficiale, nel 1565 fu invitato a Ferrara dal cardinale Luigi d’Este, di cui divenne uno dei famigliari. Nel 1570 seguì quest’ultimo in Francia. Nel 1572 passò invece al servizio del duca Alfonso II.
Nei successivi cinque anni, che furono per lui abbastanza sereni, Tasso realizzò gran parte della sua produzione letteraria, che spazia dal poema eroico alla favola pastorale, dalla tragedia alla trattatistica, dal dialogo alla rime. Nel 1573 compose l’Aminta, rappresentata per la prima volta nel luglio di quell’anno sull’isola di Belvedere su un ramo del Po, la quale, insieme al Pastor fido di Giovanni Battista Guarini, è considerata come la più importante tragicommedia pastorale italiana. La prima edizione apparve a Cremona nel 1580.
Nel 1577 cominciarono a manifestarsi in Tasso i primi segni di squilibrio, che si tradussero in dissapori con la corte estense. Dopo una prima reclusione nel castello ducale, egli fuggì da Ferrara e cominciò a peregrinare per l’Italia. Rientrato a Ferrara nel 1579, forse turbato dalla poca attenzione a lui rivolta, diede in escandescenze e fu rinchiuso nell’ospedale di Sant’Anna, dove rimase per sette anni.
Tornato in libertà grazie all’intercessione di Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, dopo un breve soggiorno presso la corte gonzaghesca, si recò a Roma, dove trovò sistemazione presso l’amico Scipione Gonzaga. Nel 1587 Tasso si ritirò nel convento di Santa Maria Nuova degli Olivetani. Nel 1592 accettò l’invito del principe di Conca e si trasferì a Napoli, dove attese alla stesura della Gerusalemme conquistata (poi pubblicata a Roma nel 1593), ultima non riuscita revisione del suo poema epico. Nel 1594 fece ritorno a Roma, dove terminò Le sette giornate del mondo creato. Morì il 25 aprile del 1595 nel convento di Sant’Onofrio sul Gianicolo, dove si era da poco ritirato.
Descrizione fisica. Un volume in 4to di pp. 11, (1), 255, 1 bianca, 71, (1), 40, (8). Con un bel frontespizio calcografico, che entro un’elaborata bordura architettonica raffigura il ritratto del poeta in medaglione ed una veduta di Genova, e con 20 figure a tutta pagina, poste all’inizio di ogni canto, incise in rame da Agostino Carracci e da Giacomo Franco su disegni del pittore genovese Bernardo Castello.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010