STEUCO, Agostino (1496-1548). De perenni philosophia libri X. Item de Eugubij, urbis suae, nomine . Lione, Sébastien Gryphe, 1540.
PRIMA EDIZIONE, dedicata a Paolo III, di uno dei maggiori testi filosofici del Rinascimento.
In questa opera monumentale Steuco si propone di ricostruire le linee di tutto il pensiero antico, considerato come il risultato dello sviluppo da un’unica fonte. Essendo unica la verità, è un’unica anche la scienza che si occupa di studiarla: questo è l’assunto di base che costituisce la premessa e, al tempo stesso, la dimostrazione di tutto il lavoro.
Il progetto steuchiano si rivela così nel suo intento di documentare la filosofia come sapienza originaria che percorre da sempre la storia degli uomini, alimentandola di una verità essenziale, pur nella diversità delle connotazioni da essa assunte di volta in volta nel tempo. Essendo dunque il nucleo essenziale della filosofia una verità immutabile, la filosofia non è altro che la ricostruzione storica di una tradizione, di un insieme in divenire nel quale è possibile individuare il nucleo perenne.
L’espressione “filosofia perenne”, penetrata nella tradizione filosofica grazie a F. Bacone e W.G. Leibniz, fu coniata per la prima volta dallo Steuco. Questi riprese le teorie di Giovanni Pico della Mirandola e Marsilio Ficino circa l’esistenza di una prisca sapientia, ossia di una sapienza primigenia, da cui avrebbero attinto le loro dottrine tutti i massimi filosofi dell’epoca classica.
In un immane tentativo di sincretismo universale, egli intende dimostrare la validità dei principali dogmi del Cristianesimo (Trinità, Incarnazione, immortalità dell’anima, creazione del mondo, libero arbitrio, intercessione di angeli e demoni) attraverso le testimonianze degli antichi filosofi, ossia i Caldei (i primi in assoluto in quanto abitanti l’antica Mesopotamia, dove Steuco localizza il Paradiso Terrestre), gli Egizi e gli Ebrei, i quali tutti avevano trasmesso la loro prisca sapientia ai filosofi greci e romani.
La fondamentale testimonianza dei Caldei è riscontrabile negli oracoli caldei, come quelli di Zoroastro (trasmessi da Psello e Gemisto Pletone), e negli oracoli sibillini. Massimo esponente della filosofia egizia è invece Ermete Trismegisto, il Mosé egiziano, la cui sapienza, essendo antecedente a quella degli Ebrei, offre la chiave per interpretare i più oscuri passi biblici. Un posto importante tra i prisci theologi spetta anche agli Orfici e ai Pitagorici. Secondo Steuco infatti, Orfeo, Omero, Esiodo e Pitagora sono i più antichi e, perciò, più autorevoli rappresentanti della filosofia greca. I Pitagorici sono poi i più antichi precursori della morale cristiana, avendo essi per primi praticato e predicato l’ascetismo e le principali virtù cristiane.
Steuco propose la sua “filosofia perenne” nel 1540, alla vigilia del Concilio di Trento, in un momento in cui sembrava ancora aperta la possibilità di una ricostruzione dell’unità del mondo cristiano dopo la Riforma protestante. In questo contesto storico-religioso la sua opera viene ad assumere il significato di un estremo tentativo di riunificazione e con ciliazione del lacerato mondo cristiano, poiché, se è vero, com’egli riteneva, che un’unica antichissima tradizione filosofico-religiosa aveva accumunato popoli di razze e costumi diversi, solo la sua ignoranza da parte dei moderni poteva a suo avviso spiegare le scissioni e le lacerazioni presenti.
Agostino Steuco, nativo di Gubbio, entrò a sedici anni nei canonici regolari lateranensi di S. Salvatore, dove ricevette un’educazione umanistica e teologica improntata soprattutto al neoplatonismo cristiano. Successivamente perfezionò i propri studi presso l’università di Bologna, frequentando i corsi di Pietro Pomponazzi e Romolo Amaseo.
Nel 1525 divenne bibliotecario della ricca collezione della famiglia Grimani presso il convento di Sant’Antonio a Venezia. Nella dimora del cardinale veneziano, dove era confluita la celebre biblioteca di Pico della Mirandola, egli ebbe modo di leggere e assimilare autori come Platone, Plutarco, Plotino, Proclo, Psello, Pletone, N. Cusano, M. Ficino, G. Pico, S. Champier e F. Zorzi (o Giorgi).
Nel 1533 divenne priore del convento di San Marco a Reggio Emilia. Nel 1536 entrò al servizio di papa Paolo III, il quale lo nominò vescovo titolare di Kisamos (Creta) e prefetto della Biblioteca Vaticana. Morì a Venezia nel 1548 durante un periodo di riposo nei lavori del Concilio di Trento.
Steuco fu un uomo di grande erudizione e talento, che conosceva il greco, l’ebraico, il caldeo e l’arabo e si muoveva con grande facilità in ogni ambito della filosofia, della teologia e della storia. Le sue opere, in prevalenza di carattere esegetico, furono raccolte da Ambrogio Morando e pubblicate in tre volumi a Parigi nel 1578.
Descrizione fisica. Un volume in folio di pp. (20), 625 [i.e. 605], (3). Omesse nella numerazione le pp. 371-390. Marche tipografiche sul titolo ed in fine. Bellissimo frontespizio xilografico raffigurante gli antichi sapienti, filosofi e poeti, con in basso Omero incoronato dalle Muse. Grandi capilettera figurati su fondo nero.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010