Immaginate di essere in partenza per un viaggio e di aver dimenticato di comprare una nuova lettura che vi faccia compagnia nelle lunghe ore di volo. Non vi resta che spulciare nella biblioteca di casa vostra alla ricerca di qualcosache non abbiate già letto. Poniamo vi capiti sottomano un’edizione economica, già un po’ ingiallita, dei primi anni Sessanta,da voi acquistata all’epoca oppure appartenuta a vostro padre. Magari un testo che avreste sempre dovuto leggere (un classico latino in edizione BUR o un saggio Einaudi che ha fatto storia), ma non avete mai trovato la forza di farlo. È la volta buona, vi dite, e lo mettete in valigia.
Ora, nel momento stesso in cui voi varcherete i confini dello Stato italiano con suddetto libro, che dateremo diciamo al 1963, voi commetterete un reato penale.Sì, avete capito bene, un reato penale! Il Codice Unico dei Beni Culturali recita infatti che «qualunque bene librario avente più di 50 anni, indipendentemente dal suo valore, sia soggetto a tutela e non possa quindi uscire dal territorio nazionale previa autorizzazione delle autorità competenti (Sovrintendenze regionali e Ministero)». In sostanza il Codice equipara un libro tascabile di 60 anni, del valore venale di pochi euro, ad un incunabolo o ad un reperto archeologico. Pare incredibile, ma così è.
Immaginate ora un turista straniero in visita in Italia, il quale, passeggiando per una delle nostre città d’arte, s’imbatta inuna bancarella di libri usati e decida di comprarne un paio. Se in mezzo al mucchio ve n’è uno più vecchio di 50 anni (stavo per scrivere antico, ma mi pare decisamente inappropriato in questa circostanza,è la deformazione professionale!), il proprietario della bancarella, se conoscecome di dovere l’articolo 65 della legge di tutela, si vedrà costretto a dire al turista di passaggio che il libro in questione gli sarà spedito, ma non prima di qualche settimana, giusto il tempo di ottenere i necessari permessi. Non credo facciate fatica ad immaginare lo sbalordimento del turista. È come se voi vi trovaste a Parigi e aveste adocchiato un libro da poche decine di euro sul banco di uno dei tanti bouquinistes che si trovano lungo la Senna, e questi vi dicesse che potete sì acquistare il volume, ma non prenderlo su con voi. Con la grande differenza, tuttavia, che questo a Parigi non può succedervi.
E già perché, anche se in Francia vi sono delle limitazioni all’esportazione del materiale librario, i Francesi (alla stregua dei legislatori di altri paesi europei e di quelli comunitari) hanno posto delle soglie di valore, sotto le quali si è esentati da ogni incombenza. La cosa vi suonerà certamente molto ragionevole, ma così nonè per le nostre istituzioni. In Italia la soglia di valore rimane un tabù assoluto, in quanto si scontra con la definizione che nel C.U. sidà di bene culturale e con la granitica convinzione che il valore del bene non sia vincolante nel determinarne l’interesse nazionale.
Chi si occupa di tutela spesso si trincera dietro la retorica che l’Italia è stato un grande 'produttore' di beni culturali e, in quanto tale, merita una legislazione speciale, diversa da quella di tutti gli altri paesi europei. Che l’Italia sia stato un grande paese produttore ed esportatore di manufatti di alto artigianato e di grande importanza storico-artistica, è certamente un dato di fatto indiscutibile. Ma cosa pensare allora della Germania, così sovente citata di questi tempi come modello da seguire, che, fra l’altro, della stampa è il luogo d’origine, quando apprendiamo che in quel paese non esistono leggi di tutela di nessun genere e le biblioteche nazionali (intelligentemente incaricate di integrare le loro collezioni, suddividendosi campi diversi di ricerca) si pongono sul mercato per i loro acquisti alla stregua di qualsiasi altro soggetto? Recentemente, sia detto per inciso, mi è capitato di comprare ad una fiera in Germania un libro tedesco del Cinquecento, mancante al catalogo nazionale di quel paese, 'soffiandolo' sotto il naso di una rappresentante della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera, la quale ha semplicemente preso atto del fatto che il libro sarebbe finito in Italia.
E cosa pensare quando le autorità italiane bloccano manufatti storici di origine non italiana, i quali non sono mai neppure appartenuti ad una collezione storica del nostro paese, ma sono semplicemente transitati per motivi puramente casuali sul suolo nazionale? Sulla base di quale principio si applica la tutela in questi casi? E che dire poi del fatto che, mentre altrove (in Francia per esempio) i beni notificati vengono acquistati dallo Stato, qui da noi se ne proibisce la fuoriuscita dal territorio nazionale, senza che ci si premuri di mettere il bene al servizio della comunità (destinandolo cioè ad una biblioteca o ad un museo), come dovrebbe essere, essendo questo lo scopo ultimo e più alto della legge di tutela?
Questo è il quadro normativo in cui devono muoversi gli operatori del settore, senza contare che le procedure per l’ottenimento dei permessi possono variare, anche notevolmente, da regione a regione. Pensate poi al commercio su internet. Recentemente ho sentito dire da un responsabile di un ufficio pubblico, preposto al rilascio dei permessi di esportazione, che da ora innanzi si prospetta il problema della compatibilità del commercio online dei libri con i tempi della pubblica amministrazione. Alla buon’ora! Il problema, in realtà, è tutt’altro che nuovo: sono ormai almeno vent’anni che esiste un commercio online, fatto non solo da commercianti specializzati, ma anche e soprattutto da privati che vendono libri sul web essendo completamente all’oscuro della legge, la quale, così com’è concepita, mi pare oltretutto anticostituzionale. Si sa, i libri sono nati come beni commerciali e, per la loro maneggevolezza e praticità, hanno da sempre viaggiato di paese in paese, quindi si sono da subito perfettamente adattati alle nuove forme di commercio online. Se a questo scenario normativo, voi affiancate infine il fatto che le biblioteche (e ancor più gli archivi) sono state abbandonate a sé stesse e private dei fondi minimi per svolgere quanto a loro richiesto, che nonèsolo conservare passivamente il materiale ereditato, ma anche valorizzarlo ed integrarlo con nuovi acquisti che arricchiscano intelligentemente i fondi storici, il quadro, alquanto desolante, si completa.