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Il futuro del collezionismo librario

Data 01/12/2020       Categoria Articles and Publications
Autore Admin

Il futuro del collezionismo librario

Che ci troviamo nel bel mezzo di una crisi economica epocale, dalla quale non si sa con certezza quando e come usciremo, pare un dato di fatto che nessuno ormai mette più in discussione. Che contemporaneamente stiamo attraversando anche un periodo di grandi stravolgimenti culturali, risulta invece molto meno evidente, in quanto alcuni degli elementi che sono alla radice di questi cambiamenti, ossia la perdita di prospettiva storica e la rivoluzione tecnologica che ci ha travolto negli ultimi quindici anni, sono da ostacolo alla consapevolezza di questa stessa trasformazione.

I movimenti studenteschi, lo sviluppo della cultura di massa, il progressivo abbassamento del livello di istruzione e la crisi della cultura umanistica fondata sul culto dello studio degli autori del passato (il tutto amplificato dall’anarchia dei nuovi strumenti mediatici) hanno portato ad un vero e proprio sgretolamento del sistema culturale tradizionale, inducendo a credere che l’insegnamento dei grandi modelli del passato sia ormai superato.
Certo negli ultimi anni il mondo ha subito una vera e propria seconda rivoluzione copernicana, nuove “Americhe” sono state scoperte nell’ambito delle comunicazioni e dei media. Il mondo chiuso degli ultimi secoli, con il suo concetto di autorità ed imitazione, è definitivamente tramontato, rendendo obsoleto, se non vanaglorioso, ogni tentativo di ripristinare un canone culturale, seppur notevolmente allargato.

La combinazione di questi due elementi, crisi economica e stravolgimento culturale, sta avendo un impatto deflagrante anche nel mondo del collezionismo librario. Il mercato del libro antico, pur essendo molto distante da quello dell’editoria, risente infatti per molti aspetti delle stesse problematiche congiunturali.
La bibliofilia è un fenomeno antichissimo, quasi quanto la scrittura stessa, e ha svolto nella storia dell’umanità un ruolo di grande importanza. Naturalmente esistono vari tipi di bibliofilia, ma, a differenza del pregiudizio con cui è talvolta guardata da molti operatori culturali, essa è un fenomeno tutt’altro che superficiale.
Ogni forma di collezionismo cela al fondo una brama narcisistica di possesso ed un bisogno ossessivo di ordine e controllo. Ma quale aspetto per quanto nobile dell’essere umano, se guardato con occhio antropologico, non poggia in ultima istanza su dei bisogni istintuali? Rispetto ad altre forme di collezionismo poi, più apertamente esibizionistiche e legate al fluire delle mode, collezionare libri presuppone una certa consapevolezza, maggiore o minore a secondo dei casi, dell’importanza del valore documentale che i libri posseggono; presuppone quindi una sensibilità storica, senza la quale non nascerebbe neppure il desiderio di raccogliere oggetti dall’aspetto così poco appariscente, come sono la maggior parte dei libri antichi, soprattutto se paragonati allo splendore luccicante degli oggetti di antiquariato o dei dipinti.
Collezionare libri ha spesso significato nella storia salvare dall’oblio o portare all’attenzione del mondo un intero campo del sapere del tutto inesplorato o dimenticato; raccogliere in un luogo e in un tempo delimitato un certo tipo di materiale, ha permesso di abbracciarlo in un sol colpo d’occhio e di studiarlo a fondo. L’idea stessa di canone bibliografico-letterario sarebbe inconcepibile se quella delimitazione ideale che esso presuppone, non fosse prima avvenuta fisicamente in un luogo preciso, lo spazio racchiuso e selezionato della biblioteca. La biblioteca, intesa come luogo fisico dove si raccolgono i libri, ebbe senza dubbio un ruolo decisivo nello sviluppo delle discipline letterarie, filologiche e bibliografiche. Senza la biblioteca di Alessandria, che raccoglieva tutto lo scibile del tempo, non sarebbero sorte la critica letteraria e storica e la filologia dei testi. Passando a tempi molto più recenti, fondamentali opere bibliografiche come gli Annali aldini di Antoine Augustin Renouard, solo per fare un esempio, sono nate dalla passione collezionistica del loro autore, il quale prima raccolse fisicamente i volumi, quindi successivamente li descrisse per poi venderli all’asta alcuni anni più tardi.
La natura più nobile del collezionismo librario persegue sicuramente la ricerca del sapere e la ricerca dell’ordine; quello stesso ordine, fondamentale per la sapienza umana ma mai veramente compiuto, che è alla base della stessa organizzazione della pagina stampata con i suoi caratteri mobili disposti in elegante successione; che è alla base inoltre dell’antica arte della memoria (la mnemotecnica) con il suo nobile tentativo di raccogliere nella mente umana tutto lo scibile; e che è alla base, infine e soprattutto, delle biblioteche, vere e proprie materializzazioni dei teatri della memoria, intese sia come spazio architettonico studiato al meglio per mettere il libro a disposizione del lettore e creare un vero e proprio tempio alla cultura, sia come sistema di classificazione materiale e epistemologica di tutto il sapere.

Oggi il collezionismo librario è stato messo in crisi su due fronti. Da un lato, le difficoltà economiche del momento hanno fatto seguito ad una bolla speculativa globale che non ha risparmiato neppure il mondo dell’antiquariato, con la conseguenza che ad un notevole e, per certi versi, selvaggio incremento dei prezzi è seguita una penuria di liquidità. Dall’altro, la mancanza di consapevolezza storica determinata dal calo dell’istruzione e la rivoluzione tecnologica che ha fatto sì che lo strumento utilizzato sia diventato ideologicamente più importante del contenuto trasmesso (ossia, per dirla in altre parole, ha fatto sì che lo strumento nel suo fluire continuo si ponga ormai come un nostro sostituto nell’atto della scelta, rendendo l’idea stessa di scelta del tutto obsoleta), sono due elementi che hanno minato nelle fondamenta il collezionismo tradizionale: stando così le cose, non si può certo pensare di collezionare ciò di cui si ignora persino l’esistenza o che presuppone delle scelte culturali estremamente consapevoli ed un impegno paziente dilazionato nel tempo.
Oggi il collezionismo si è di conseguenza dirottato verso forme meno impegnative e culturalmente elaborate. Un fenomeno recente è infatti quello dei così detti collectables, ossia oggetti al limite del souvenir o del feticismo che, pur avendo un modestissimo valore culturale, sono ambitissimi nel mondo delle aste. Che la pagella di terza elementare di John Lennon o la raccolta completa degli album di figurine Panini spuntino prezzi stratosferici, suscitando molto più entusiasmo di un importante libro del Cinquecento, è una peculiarità tutta contemporanea che non tiene minimamente conto del reale valore delle cose: chi infatti tra cinquant’anni sarà più veramente interessato a questo tipi di oggetti destinati a cadere rapidamente nel dimenticatoio, man mano che la loro memoria storica tenderà a svanire? Per restare agli esempi sopracitati, chi comprerebbe oggi, se esistesse, l’album di figurine dei giocatori della nazionale italiana campione del mondo nel 1934, quando sono oramai pochissimi coloro che ne ricordano i nomi?
Per certi versi, non molto dissimile è anche il mercato dell’arte contemporanea, la cui straordinaria voga attuale si spiega sia con la sua informalità (tutti si sentono infatti autorizzati ad esprimere la propria opinione circa un artista contemporaneo, anche se non dispongono di nessuna conoscenza artistica; la loro incompetenza sarebbe invece subito smascherata nel caso, per esempio, di un dipinto antico), sia con la volatilità dei suoi valori, che permettono, quando va bene, guadagni rapidi e consistenti. Il nuovo collezionista non è infatti più interessato alla stabilità del valore nel tempo; la sua prospettiva è molto più limitata e a breve scadenza.
Nel mondo del libro antico questa nuova figura di collezionista-investitore si esprime attraverso l’acquisto esclusivo di opere di grandissimo pregio; il suo interesse si rivolge esclusivamente alle pietre miliari della storia della scienza e ai grandi classici della letteratura internazionale. Si affida quindi a strumenti collaudati come il celebre Printing and the mind of man di J. Carter e P.H. Muir (London, 1967), che gli offrono una scelta universalmente condivisa che non necessita di ulteriori approfondimenti.
Per contro il collezionista esperto della sua materia, il quale pazientemente, negli anni, ha saputo mettere insieme con competenza una raccolta esaustiva che ai grandi nomi affianca gli autori minori, le scoperte e le curiosità bibliografiche, è divenuto sempre più raro. Sono convinto, tuttavia (e questo è anche un augurio per il futuro della nostra professione), che questi non sparirà mai del tutto, in quanto la bibliofilia, pur nelle sue continue trasformazioni dettate dai tempi e dai gusti, è parte inscindibile della tradizione culturale dell’Occidente e non una semplice moda passeggera.

In una mia opera di recente pubblicazione I classici che hanno fatto l’Italia. Per un nuovo canone bio-bibliografico degli autori italiani (Modena, Regnani, 2010), dal titolo apparentemente molto ambizioso, ma dalle intenzioni ben più modeste, ho voluto fornire una sorta di biblioteca ideale di soli autori italiani (per nascita o di adozione), che ambisce ad illustrare la storia della nostra cultura, dal Duecento ad oggi, attraverso una selezione di opere e di edizioni.
Il libro, nato dal confronto con il Printing and the Mind of Man sopra menzionato, scaturisce quindi, per la formazione del suo autore e per la sua genesi (istruire un collezionista neofita), dal mondo del commercio librario (può essere infatti “usato” anche come una sorta di vademecum per il bibliofilo o di introduzione al collezionismo del libro italiano a stampa) e da esso, in un certo senso, deriva l’aspirazione all’universalità dei saperi e l’attenzione agli aspetti materiali del libro e alle spesso intricate vicende editoriali che si celano dietro la pubblicazione di molti classici.
Le vicende editoriali di un testo (sia esso un capolavoro assoluto, un’opera pioneristica in un certo campo del sapere o il successo di un’epoca) hanno infatti una duplice valenza: da un lato informano sulla ricezione e sulla diffusione di una certa opera dopo la sua uscita (tirature, ristampe, contraffazioni, privilegi, accordi commerciali, ecc.); dall’altra aiutano a capire i mutui rapporti fra stampa e lettori, mettendo in evidenza come il libro stampato abbia influenzato la maniera stessa di scrivere e leggere degli uomini. Ogni opera si offre al lettore anche nella materialità del libro, sollecitandone contemporaneamente l’occhio e la mente attraverso precise strategie editoriali (formato, tipo di carattere, presenza o meno di illustrazioni, dediche, ecc.). Per questo sarebbe importante che il rapporto diretto con le edizioni originali o antiche (vederle, maneggiarle, collazionarle) divenisse pratica diffusa non solo in ambito specialistico.
Il paradosso è che la stampa, il primo grande medium della storia, quello che ha permesso la nascita di tutti i media che si sono sviluppati nei secoli successivi (editoria, giornalismo e, per certi versi, persino internet: come si scriverebbe al computer senza l’invenzione e il perfezionamento dei caratteri a stampa?), viene spesso malauguratamente trascurato.
D’altra parte sarebbe altresì auspicabile che attraverso la scuola diventassero patrimonio comune delle persone istruite anche le varie “storie” specialistiche, ossia la storia della medicina, del diritto, dell’economia, della musica, della tecnica, della gastronomia, dello sport, ecc., tutte profondamente correlate fra loro, specialmente nei primi secoli della stampa, quando la specializzazione dei saperi era ancora ben lungi dal realizzarsi nella misura odierna.
Rispetto al milieu intellettuale che ha prodotto il Printing and the Mind of Man negli anni Sessanta, l’idea di canone universale ha subito tuttavia un mutamento radicale. Il progressivo abbassamento del livello di istruzione e la crisi della cultura umanistica fondata sul culto dello studio degli autori del passato (il tutto amplificato dall’anarchia dei nuovi strumenti mediatici) hanno portato ad un vero e proprio sgretolamento dell’idea di canone, inducendo a credere che l’insegnamento dei grandi modelli del passato sia ormai superato e che ciascuno abbia il diritto di dire la propria opinione su qualsiasi argomento, indipendentemente dalla propria formazione e, per di più, senza neppure documentarsi.
Qualsiasi canone sia oggi proposto viene dunque interpretato come un anticanone, ossia solamente come una proposta di canone, suscettibile di allargamenti, modifiche e nuove aggiunte; o, meglio ancora, come un catalogo cumulativo, aperto alle proposte della grande rete globale.
A questa impostazione non sfuggono neppure i Classici che hanno fatto l’Italia con la loro proposta di 400 opere selezionate con criteri rigorosi e coerenti, le quali tuttavia avrebbero potuto anche essere 389 o 551 senza che lo spirito dell’opera ne uscisse inficiato. Che anticanone sia, allora! Ma un punto di partenza si rende pur sempre necessario; una delimitazione del cammino che permetta di orientarsi nel mare magnum della rete e che supplisca alla sparizione di quella che fino a tempi relativamente recenti si soleva chiamare “cultura generale”.
I Classici che hanno fatto l’Italia aspirano pertanto a colmare, seppur in modo molto imperfetto, questa lacuna e, nello stesso tempo, a fornire una parziale testimonianza del lavoro quotidiano del libraio antiquario.

Ho fatto questo lungo discorso per far capire in profondità quale importanza rivesta il ruolo svolto dalla Società Bibliografica Toscana, la quale contribuisce in modo determinante a quello stesso fondamentale compito di promozione del libro e formazione culturale di cui ho parlato finora. Attraverso mostre, incontri, convegni come il presente e pubblicazioni di interesse bibliografico e bibliofilico (come quella presentata in questa occasione), essa porta all’attenzione di un vasto pubblico, spesso con ironia e leggerezza, ma sempre con competenza e professionalità, un mondo, quello del libro antico, che pare per molti versi in pericolo e minacciato da vari fronti. Il fatto che la SBT esca per la prima volta al di fuori dei confini della Toscana, a cui naturalmente sono principalmente indirizzati i suoi interessi, lo vedo come un segno di auspicio per la nascita di associazioni analoghe in tutta Italia. Auguri quindi alla SBT e al suo presidente Paolo Tiezzi Maestri.


Intervento di Fabrizio Govi (Presidente ALAI)
“Le fusa del gatto. Libri, librai e molto altro”
Biblioteca del Senato della Repubblica
Sala degli Atti parlamentari
Piazza della Minerva 38, Roma
Venerdì 5 ottobre 2012 ore 16.30




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