EINAUDI, Luigi (1874-1961). Principi di scienza della finanza. Torino, “La Riforma sociale”, 1932.
EDIZIONE DEFINTIVA del manuale universitario sul quale Einaudi basò il suo insegnamento di scienza della finanza dal 1902 al 1926. Esso fu più volte rielaborato e corretto dall’autore, che negli anni giunse a disconoscere alcune dottrine sostenute in gioventù. Dopo questa prima edizione del testo definitivo, pubblicata per i tipi della rivista “La Riforma sociale”, di cui il figlio Giulio Einaudi era editore, l’opera fu più volte ristampata dalla casa editrice torinese di quest’ultimo. La seconda edizione uscì nel 1940, la terza nel ’45, la quarta nel ’48.
Einaudi non fu un grande teorico dell’economia nel senso del rigoroso approccio matematico-statistico che aveva contraddistinto Maffeo Pantaleoni o Vilfredo Pareto, ma nondimeno egli fu un grande economista liberale e la sua influenza su almeno due generazioni di studenti risultò determinante. Uomo eminentemente pratico, egli intravide le potenzialità economiche dell’Italia già agli inizi del secolo scorso, sostenne l’importanza di un buona istruzione e, da liberale all’inglese qual’era, propose un sistema tributario che incoraggiasse il risparmio delle classi meno abbienti e limitasse l’intervento statale, favorendo l’impresa privata e le autonomie locali.
Luigi Einaudi, originario di Carrù nel cuneese, frequentò il liceo “Cavour” di Torino, quindi nel 1891 s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, dove ebbe come maestro Salvatore Cognetti de Martiis. Questi due anni dopo fondò il Laboratorio di economia politica, del quale Einaudi fece parte da subito.
Laureatosi nel 1895, cominciò la carriera di insegnante, dapprima nella scuola secondaria, quindi dal 1902 presso l’Università di Torino come titolare della cattedra di scienza delle finanze. Nello stesso anno rifiutò l’offerta fattagli da Pareto di sostituire il Pantaleoni come docente a Ginevra.
Vicino alle idee socialiste, Einaudi scrisse per un certo periodo sulla “Critica Sociale”, ma abbandonò presto i periodici di sinistra e divenne un collaboratore stabile del “Corriere della Sera”, allora diretto da Luigi Albertini. Egli assunse poi la direzione della “Riforma sociale” di Francesco Saverio Nitti e partecipò anche all’ “Unità” di Gaetano Salvemini e alla “Voce” di Giuseppe Prezzolini. Inoltre pubblicò vari importanti studi di economia delle finanze, che contribuirono a diffondere la sua fama oltre i confini italiani.
Convinto interventista, dopo la fine della prima guerra mondiale Einaudi fu molto critico rispetto alla politica annonaria del governo e alla progressiva burocratizzazione dell’economia nazionale. Nel 1919 venne nominato senatore del regno. In aula egli combatté aspramente l’occupazione delle fabbriche e le pretese sindacali e vide inizialmente di buon occhio il nascente movimento fascista. Dopo il delitto Matteotti, tuttavia, passò all’opposizione aperta. Aderì al partito di Giovanni Amendola, firmò il manifesto di Benedetto Croce e rese un commosso omaggio alla memoria di Piero Gobetti, suo ex allievo. Fra il 1925 e il 1926 fu quindi progressivamente allontanato da tutti gli incarichi. Cessò la collaborazione al “Corriere”, fu costretto a lasciare l’insegnamento, che dal 1902 deteneva presso la Bocconi di Milano, e partecipò molto sporadicamente ai lavori parlamentari.
Si dedicò allora agli studi e continuò a scrivere sulla “Riforma sociale”, che in quegl’anni acquistò come collaboratori Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi. Grazie all’allievo Piero Sraffa, entrò in contatto con il mondo anglo-sassone e divenne consulente della Rockfeller Foundation per l’Italia. Cominciò inoltre a scrivere su vari periodici stranieri, come l’ “Economist” di Londra. Si dedicò anche alla sua antica passione di agricoltore, acquisendo terreni nei comuni di Dogliani e Barolo, dove cominciò a produrre il prestigioso vino.
Dopo lo scoppio della grande crisi economica, da buon liberale egli prese pubblicamente le distanze dalle teorie sull’intervento pubblico in economia espresse da John Maynard Keynes. Si schierò anche contro il corporativismo e l’autarchia promossa dal regime fascista, contro il New Deal di Rooselvelt e, ovviamente, contro la pianificazione sovietica, vagheggiando un ritorno ad una vera economia di concorrenza: a suo avviso, lasciando che la crisi facesse il suo corso, sarebbe sopravvissuta solamente la miglior classe imprenditoriale, mentre gli aiuti di stato finivano per aiutare solamente i peggiori parassiti, abituando per di più gli industriali al continuo sostegno pubblico.
Nel 1935 la “Riforma sociale” venne soppressa a seguito dell’arresto del figlio Giulio, che ne era editore. Einaudi fondò allora la “Rivista di storia economica”.
Dopo la caduta del fascismo, per ragioni di sicurezza egli emigrò in Svizzera insieme alla famiglia, trovando un clima di grande accoglienza e di stimolo intellettuale. Rientrato in patria nel 1944, fu nominato governatore della Banca d’Italia e partecipò ai lavori dell’Assemblea Costituente. Fece quindi parte del quarto gabinetto De Gasperi come titolare del dicastero del bilancio, che fu istituito appositamente per lui, impegnandosi soprattutto nella lotta all’inflazione.
Nel 1948 Einaudi fu eletto presidente della Repubblica, esercitando il suo incarico con grande zelo, sia in politica interna che nel promuovere l’inserimento dell’Italia nel nuovo ordinamento federale europeo.
Scaduto il mandato nel 1955, egli riprese la collaborazione con il “Corriere della Sera”, dedicando i suoi interventi soprattutto alla scuola e all’istruzione. Contemporaneamente pubblicò a dispense presso la casa editrice del figlio le famose Prediche inutili, poi raccolte in volume nel 1959, che contengono suoi commenti sulla politica economica e finanziaria italiana. Einaudi morì a Roma nell’ottobre del 1961.
Per il prestigio delle sue cariche, per l’ampiezza e la profondità di pensiero espressa in migliaia di pagine ed anche per la sua longevità, egli fu senz’altro una delle personalità più influenti del Novecento italiano.
Descrizione fisica. Un volume in 8vo grande di pp. VII, 430.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010