BALBO, Cesare (1789-1853). Delle speranze d’Italia. Parigi, Libreria dei fratelli Firmin Didot, 1844.
PRIMA EDIZIONE di quest’opera che apparve contemporaneamente anche in francese nella traduzione di Pier Silvestro Leopardi.
Scosso dalla lettura Del primato morale e civile degli Italiani (1843) di Vincenzo Gioberti, Balbo volle rispondere alle tesi di quest’ultimo con Le Speranze d’Italia, che sono appunto dedicate allo stesso Gioberti. Trattandosi di uno scritto sostanzialmente antiaustriaco, egli ottenne il permesso dal suo sovrano di farlo stampare all’estero. Dopo l’edizione di Parigi, negli anni seguenti ne seguirono varie altre a Capolago, Napoli e Firenze.
Pur richiamandosi alla sua proverbiale moderazione, Balbo non manca di audacia nel sostenere la causa dell’indipendenza italiana e nel condannare l’oppressione dell’occupazione straniera. Egli addita nel Piemonte il maggior baluardo dell’indipendenza italiana e, indicando una possibile soluzione diplomatica al problema, individua nell’ulteriore espansione balcanica dell’Austria, dopo il crollo dell’impero turco, un ghiotta opportunità per gli Asburgo per compensare la perdita delle provincie lombardo-venete. Balbo propone poi la creazione di una confederazione di stati della penisola da porre sotto la guida del papa. Per lucidità, concretezza ed organicità, le Speranze d’Italia divennero presto un’opera molto letta ed apprezzata.
Cesare Balbo nacque a Torino da una famiglia di forte impronta cattolica, imparentata per via paterna con il conte G.B. Bogino, ministro riformatore dello stato sabaudo. Rimasto orfano di madre in giovane età, nel 1798 dovette seguire il padre Prospero, già ambasciatore in Francia, nelle sue peregrinazioni in esilio dopo la caduta di Carlo Emanuele IV. Visse così a Barcellona, Bologna e Firenze.
Nel 1802 fece ritorno a Torino. Interrotti gli studi di matematica per motivi di salute, Balbo negli anni seguenti fu impiegato al servizio dell’amministrazione imperiale, nonostante l’opposizione del padre. Nel 1804, insieme ad altri giovani intellettuali torinesi, fondò l’Accademia dei Consorti con lo scopo di approfondire la conoscenza della cultura e della lingua italiana. Fu per un certo periodo uditore del Consiglio di Stato a Parigi. Nel 1813 poté assistere personalmente alla disfatta dell’esercito napoleonico a Lipsia.
Nel frattempo Prospero Balbo, nominato ambasciatore a Madrid, ottenne per il figlio la carica di gentiluomo d’ambasciata. Dopo tre anni, nel 1819 Cesare lasciò la Spagna e si arruolò nell’esercito. Gli impegni militari lo portarono a Genova con il compito di sovrintendere alle provincie liguri, da poco annesse allo stato sabaudo.
Nel 1821, per le posizioni liberali da lui sostenute durante i moti di quell’anno, fu mandato in confino. Visse prevalentemente in Francia e poté far ritorno in patria solamente nel 1824. In questo periodo maturò la sua vocazione di studioso e di storico e cominciò ad abbozzare molte delle opere che avrebbe pubblicato più tardi. La sua vastissima produzione comprende scritti di erudizione, indagini storiche, trattati filosofici e pedagogici. Nel 1847 cominciò a collaborare al giornale “Il Risorgimento”. Nei primi mesi dello stesso anno fu chiamato da Carlo Alberto a presiedere la commissione che doveva elaborare la legge elettorale e fu incaricato di formare il primo governo costituzionale piemontese.
Per la sua estrema debolezza e per la sua contrarietà alla guerra contro l’Austria, Balbo cadde già nel luglio del 1848, ma rimase in parlamento come semplice deputato. Nel 1852 gli fu nuovamente richiesto di creare una nuova compagine ministeriale, ma questa volta rifiutò. Morì a Torino nel giugno del 1853.
Descrizione fisica. Un volume in 16mo di pp. 2 bianche, (10), 312.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010