BELZONI, Giovanni Battista (1778-1823). Narrative of the operations and recent discoveries within the pyramids, temples, tombs, and excavations in Egypt and Nubia: and of a journey to the coast of the Red Sea in search of the ancient Berenice, and of another to the oasis of Jupiter Ammon. Londra, John Murray, 1820-1822.
PRIMA EDIZIONE del resoconto biografico con il quale Belzoni volle raccontare le straordinarie imprese da lui compiute in Egitto e in Nubia, rendendo giustizia ai suoi meriti contro le accuse dei suoi detrattori.
Dopo la prima edizione inglese, ristampata nel 1821, l’opera di Belzoni fu tradotta in francese, olandese e tedesco. La prima edizione italiana uscì a Milano in 4 volumi, tra il 1825 e il 1826, per i tipi di Sonzogno.
Giovanni Battista Belzoni fu una figura di avventuriero fuori da ogni crisma. Pioniere dell’egittologia divulgativa, modello di archeologia eroica, egli scrisse la prima opera di grande successo in questo campo. Nel 1821 organizzò a Picadilly, con tanto di catalogo, la prima mostra di egittologia della storia, ricostruendo nei minimi particolari la tomba da lui scoperta di Sethi I. Benché fosse un uomo di modesta cultura, senza un’enorme caparbietà ed un notevole intuito storico egli non avrebbe potuto portare a termine neanche una minima parte delle sue imprese.
Belzoni per primo trovò l’entrata della piramide di Chefren, al cui ingresso campeggia ancora la scritta «Scoperta da G. Belzoni. 2 mar. 1818». Scavò ben sei tombe nella Valle dei Re, tra cui quelle di Ramses I e Sethi I. Nel 1816 individuò il sito e dissotterrò il tempio di Abu Simbel. Per conto dell’ambasciatore inglese Henry Salt, recuperò la testa colossale di Thumotsi III, trovata a Karnak nel 1817, e il Giovane Mennone, ossia il gigantesco busto di Ramses II individuato nel 1816 a Tebe nel Ramesseum, che troneggia oggi all’entrata della sezione egizia del British Museum. Solo con il recupero e il trasporto di quest’ultimo gigantesco reperto, Belzoni scrisse una straordinaria pagina di archeologia ed ingegneria.
Nato a Padova nel 1778, Giovanni Battista Bolzon (il cognome fu tramutato da lui stesso in Belzoni, forse per renderlo più facilmente pronunciabile agl’Inglesi e più compatibile con le origini romane che millantava di possedere) era un uomo di statura, per l’epoca, gigantesca: doveva probabilmente superare con buon margine i due metri. Nel 1794 fuggì di casa e cercò fortuna a Roma, dove cominciò ad interessarsi di ingegneria idraulica. Dopo brevi soggiorni a Parigi e Amsterdam, nel 1803 Belzoni giunse a Londra.
Nella capitale inglese conobbe l’impresario Charles Dibdin, che lo assunse per i suoi spettacoli. In breve tempo divenne una vera e propria celebrità grazie al numero della Piramide Umana, in cui egli, nelle vesti di Sansone Patagonico, caricava su di sé undici uomini con l’ausilio di una particolare imbragatura. A Londra Belzoni sposò Sarah, donna intraprendente e di carattere che lo seguì in tutte le sue imprese. Le pagine conclusive del Narrative contengono, di lei, il Mrs. Belzoni’s trifling account of the women of Egypt, Nubia, and Syria.
Abbandonate le scene, nel 1815 i coniugi Belzoni giunsero in Egitto, dove Giovanni sperava di offrire i propri servigi di esperto idraulico al pascià Muhammad ’Ali. La macchina da lui progettata per far fronte ai cronici problemi di irrigazione del paese, non trovò tuttavia l’accoglienza sperata.
Decisivi, a questo punto, per l’inizio della carriera di archeologo del Belzoni, la terza dopo quelle di attore e ingegnere idraulico, furono gli incontri con il piemontese Bernardino Drovetti, che operava al servizio dei Francesi e che si rivelò in seguito suo acerrimo rivale; con il viaggiatore ed esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt; e, soprattutto, con l’ambasciatore inglese Henry Salt, il quale, designato nel 1816, fu il suo finanziatore e il suo tramite con il British Museum. I rapporti tra Belzoni e Salt non furono tuttavia idilliaci e il primo, oltre agli attacchi e alle calunnie dei rivali francesi, dovette anche fare i conti con l’arroganza di quest’ultimo, che spesso si attribuì il merito di scoperte fatte dal Padovano.
Terminata la grande stagione egiziana e nubiana, Belzoni visse per un certo periodo a Londra, dove fu accolto come una celebrità. Organizzò una celebre mostra a Picadilly, che poi ripropose in altre capitali europee. Incapace di una vita sedentaria, egli incontrò la morte nel 1823 mentre si accingeva a raggiungere Timbuctu sulle orme di Mungo Park.
Descrizione fisica. L’opera si compone di un volume di testo e di un volume di tavole. Il volume di testo è in 4to e ha pp. XIX, 1 , 483, (1) più il ritratto dell’autore in antiporta, 2 tavole di iscrizioni e una mappa ripiegata del corso del Nilo. Nel 1821, per la seconda edizione data dal Murray, fu stampata un’appendice, numerata [485]-533, (1), che si trova talvolta aggiunta anche ad alcune copie della prima edizione. L’appendice contiene: An explanation of some of the principal hieroglyphics e Remarks on Mr. Belzoni’s plates. Il volume di atlante ( Plates illustrative of researches and operations of G. Belzoni in Egypt and Nubia, 1820-21), in folio massimo, ha pp. (4), 68 e contiene complessivamente 44 tavole, di cui 2 ripiegate. Nel 1822 furono stampate 6 ulteriori tavole (Six new plates illustrative of the researches and operations of G. Belzoni in Egypt and Nubia). Le tavole sono calcografie, acquatinte e soprattutto litografie, in gran parte a colori, incise da A. Aglio, I. Clark, C. Hullmandel e G. Scharf su disegni dello stesso Belzoni e della moglie.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010