CROCE, Giulio Cesare (1550-1609). Le sottilissime astutie di Bertoldo. Milano, Pandolfo Malatesta, (1606).
LA PIÙ ANTICA EDIZIONE CONOSCIUTA del celebre capolavoro di Giulio Cesare Croce, il cui anno di stampa si ricava dall’Imprimatur dadato 22 ottobre 1606.
La data della dedica a Filippo Contarini (18 gennaio 1605) e il fatto che Croce stampò praticamente tutte le sue opere a Bologna lasciano tuttavia supporre l’esistenza di una precedente edizione bolognese, risalente con ogni probabilità al 1605. Ad una stampa bolognese più antica allude anche l’edizione modenese di G.M. Verdi del 1608, la prima ad includere Le piacevoli, et ridicolose simplicità di Bertoldino. Figliuolo del già astuto, et accorto Bertoldo , l’altrettanto celebre seguito del Bertoldo.
La presente edizione milanese, per quanto non sia probabilmente la princeps, è comunque, come si diceva, la più antica rimasta. Per lungo tempo si è ritenuto che la copia conservata presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, andata distrutta durante un bombardamento nel 1943, fosse l’unica sopravvissuta, ma nel 1993 i librai Malavasi di Milano sottoposero all’attenzione di Piero Camporesi, massimo studioso del Croce, oggi purtroppo scomparso, una copia della stampa malatestiana in loro possesso, di cui si fece subito un’edizione facsimilata.
L’azione del Bertoldo si svolge a Verona, città dove vive la corte del crudele re longobardo Alboino. Croce confonde o deliberatamente combina vari elementi della storia tardo-medievale. Bertoldo, nome tipico da contadino, è una figura rozza, quasi mostruosa, ma, al tempo stesso, portatrice di istinti naturali portentosi legati agli ancestrali riti della raccolta e della fecondità.
Rispetto allo spregiudicato Dialogus Salomonis et Marcolphi, testo latino anonimo molto diffuso durante il tardo medioevo, da cui Croce trasse ispirazione per il suo capolavoro, nel Bertoldo la prudenza circa le questioni religiose e il rispetto dell’ordine sociale prestabilito rispecchiano chiaramente il mutato clima della Controriforma. L’ardimento di Bertoldo, che viene accolto a corte e diventa consigliere del re, è accettato unicamente nell’ottica del rovesciamento carnevalesco dei ruoli. Alboino apprezza l’arguzia, la saggezza popolare e le qualità da buffone ed indovino di Bertoldo, che gli vengono dal suo contatto primordiale con la natura. Ma, nonostante la cultura rozza della terra, legata al genitale e al fecale, sembri avere la meglio sulla cultura alta e raffinata, alla fine Bertoldo viene punito per aver osato sovvertire l’ordine naturale delle cose e contravvenire ai limiti imposti dal suo stato di contadino: morirà infatti a causa dei cibi sofisticati di corte, che il suo stomaco abituato alle rape non riesce a sopportare.
Protagonisti del Bertoldino sono invece la saggia Marcolfa, moglie di Bertoldo, e il figlio Bertoldino, anima semplice e sciocca quanto il padre era astuto. Chiamati a corte, Marcolfa sentenzia, mentre tutti si divertono per le innocue sciocchezze di Bertoldino. Alla fine Marcolfa chiede licenza al re di tornare nella sua capanna, non potendo sopportare l’artificiosità della vita di corte.
Successivamente Adriano Banchieri, scrittore, compositore di musica sacra e profana, teorico e trattatista musicale bolognese, aggiunse alla saga la Novella di Cacasenno figlio del semplice Bertoldino, che tuttavia non possiede la forza dei due testi del Croce. Le tre operette, da allora conosciute con il titolo tradizionale di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, pubblicate per la prima volta assieme a Bologna nel 1620, ebbero straordinario successo di pubblico e furono ristampate numerose volte.
Giulio Cesare Croce, poeta e narratore autodidatta, per la sua capacità di mediare fra mondo colto e mondo popolare, tra cultura orale e cultura scritta, rappresenta una figura unica nel panorama letterario italiano. Nato a San Giovanni in Persiceto (BO) nel 1550 da una famiglia di fabbri ferrai, compì studi irregolari, protetto dalla famiglia Fantuzzi di Medicina. Alternò il mestiere di fabbro a quello di cantastorie a Bologna, finché nel 1575 si dedicò completamente al mestiere di cantastorie, girando di mercato in mercato e venendo ospitato nelle case patrizie, sempre povero nonostante il successo popolare. Fu per un certo periodo anche a Venezia, dove si esibì davanti ai notabili locali. Ricercato dal grande musicista modenese Orazio Vecchi per le sue qualità di versificatore, Croce collaborò al celebre Amfiparnaso (1597), considerato come il primo melodramma giocoso italiano. Morì a Bologna nel 1609.
Al Croce sono attribuite oltre quattrocento opere, in parte ancora inedite, che furono per lo più pubblicate in modesti libretti a basso costo. Scritti in italiano o in bolognese, i suoi opuscoli contengono vivaci descrizioni del mondo dei poveri, burle, facezie, proverbi, narrazioni di feste e calamità pubbliche.
Descrizione fisica. Un volume in 8vo di pp. 88.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010