BOTERO, Giovanni (1544-1617). Della ragion di stato, libri dieci, con tre libri delle cause della grandezza, e magnificenza delle città. Venezia, Giovanni e Giovanni Paolo Giolito de’ Ferrari, 1589.
PRIMA EDIZIONE COLLETTIVA, dedicata al principe vescovo di Salisburgo Wolf Dietrich von Ratenau, del più celebre e influente trattato italiano di politica dopo il Principe di Machiavelli, che godé di grandissima reputazione ai suoi tempi e fu tradotto in quasi tutte le lingue viventi ed in latino.
Della Ragion di stato era uscito dai torchi dei figli di Giolito, sempre nel 1589, in una prima tiratura priva dei Tre libri delle cause della grandezza, e magnificenza delle città, i quali, a loro volta, erano apparsi autonomamente a Roma l’anno precedente.
In quest’ultima operetta di esigua mole, ma di grande importanza, Botero elabora per la prima volta una teoria scientifica sulla dislocazione topografica e sull’incremento degli agglomerati urbani, che identifica precisi rapporti fra ambiente naturale, risorse economiche e sviluppo demografico.
Con Della ragion di stato , sostenendo che ragion di stato, religione ed etica tendevano in fondo ad un unico fine, egli volle ridefinire un concetto, quello di ragion di stato appunto, che era all’epoca già molto diffuso, ma dietro al quale l’uso comune intravvedeva piuttosto oscuri meccanismi di potere ed eccezionali azioni di governo dettate da imperiose esigenze di sopravvivenza dello stato. In contrapposizione all’accezione corrente che l’idea aveva raggiunto, per Botero la ragione di stato doveva tradursi nella definizione dei mezzi attraverso i quali il buon governo poteva realizzarsi e quindi la ragion di stato finiva per coincidere con la politica. Con la pubblicazione del trattato il dibattito sulla questione si aprì.
Antimachiavellico in apparenza, ma in realtà fortemente influenzato dalle dottrine del grande Fiorentino, Botero fece scuola e i successivi teorici della ragion di stato, volenti o nolenti, ne seguirono le orme. Il successo dell’opera, tuttavia, non fu dovuto solamente a questa sua rielaborazione dottrinale del machiavellismo, ma anche alla vasta e sistematica esposizione, che ad essa si affianca, di tutta la nuova problematica che il nascente stato moderno portava con sé (fisco, pianificazione urbanistica, organizzazione militare, commercio, industria, amministrazione della giustizia).
Meglio di qualsiasi altro trattato del tempo, il libro di Botero documenta il passaggio, allora in pieno svolgimento, dallo stato patrimoniale di impronta feudale allo stato moderno, fondato su di un’equa amministrazione centralizzata e su una gerarchia, non più ereditaria o venale, ma burocratica e meritocratica. Dal punto di vista economico egli sostiene che la spesa pubblica debba finanziarsi più attraverso le imposte dirette sui redditi che non attraverso i cespiti demaniali e la tassazione indiretta dei consumi.
Nato a Bene Vagienna (CU), nel 1559 Giovanni Botero entrò nel collegio della Compagnia di Gesù di Palermo, dove lo aveva chiamato uno zio paterno. Nel 1560 si trasferì a Roma presso il Collegio Romano. Nonostante le sue indubbie doti intellettuali, a causa del suo tormentato e turbolento carattere, dopo solo un anno di frequentazione i padri superiori lo mandarono ad insegnare retorica presso il piccolo collegio umbro di Amelia.
Negli anni seguenti fu trasferito in varie località italiane e francesi, dove si distinse per la sua facilità nel comporre epigrammi e discorsi di vario genere in latino e rappresentazioni sceniche edificanti. Nel 1578 giunse a Milano, dove ricevette diversi incarichi da parte di Carlo Borromeo, che contribuì enormemente a forgiare la personalità ribelle di Botero. Nel biennio 1583-’85, trascorso a fianco del grande vescovo in qualità di segretario e famiglio, egli collaborò all’opera di restaurazione della diocesi.
Nel 1585 Margherita Trivulzio lo volle accanto al figlio Federico Borromeo, allora ventenne, come aio e consigliere. Nel 1588 Botero accompagnò a Roma il suo giovane e nobile discepolo per l’elezione a cardinale. Nel 1590 partecipò a tre conclavi. Nel 1591 dedicò al cardinale Carlo di Lorena la prima parte (in sei libri) dell’opera che doveva consolidare definitivamente la sua fama europea, le Relazioni universali. Nel 1592 uscì la seconda parte dedicata all’infante Filippo di Spagna.
Dopo l’elezione a vescovo di Federico Borromeo, Botero fu costretto di malavoglia a seguirlo a Milano, dove nel 1596 terminò la quarta parte delle Relazioni, la cui prima edizione completa apparve a Bergamo in quello stesso anno. Nel 1599 fu chiamato a Torino a fare da precettore ai tre figli del duca di Savoia. Nel 1606, al seguito di questi ultimi, raggiunse la corte di Madrid. Rimase per un anno in Spagna, avendo modo di visitare molte città del regno. Rientrato a Torino, nel 1606 continuò a vivere a corte come segretario e consigliere. Ormai divenuto benestante e agiato, Botero tornò a dedicarsi negli ultimi anni all’attività letteraria, sia poetica che teatrale. Morì il 23 giugno del 1617.
Descrizione fisica. Un volume in 4to di pp. (16), 367, (1). Marca tipografica sul titolo e fregio tipografico al verso dell’ultima carta.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010