[BENEDETTO DA MANTOVA (ca. 1495-1555)]. Trattato utilissimo del beneficio di Giesu Christo crocifisso, verso i christiani. Venezia, Bernardino Bindoni, 1543.
PRIMA EDIZIONE della più celebre ed influente opera della Riforma protestante in Italia. Pubblicata anonima nel 1543, ma circolante manoscritta già negli anni precedenti, essa fu composta dal benedettino Benedetto da Mantova intorno al 1540, nel periodo in cui si trovava presso il monastero di S. Nicolò l’Arena a Nicolosi vicino Catania. Egli inviò copia del suo trattatello a Marco Antonio Flaminio, umanista vicino alle correnti riformate della Chiesa, il quale lo sottopose ad una o forse due revisioni.
Il Beneficio di Cristo, come viene solitamente chiamato, ebbe un successo straordinario e fu più volte ristampato. Pier Paolo Vergerio, che ne curò una riedizione a Tubinga nel 1565, parlava di oltre quarantamila copie vendute in sei anni nella sola Venezia.
Il successo del libro è senz’altro legato alla dolcezza dei toni più che alla complessità dottrinale. Sorta di manuale consolatorio del “bene morale”, esso esalta Dio come misericordioso e dispensatore di salvezza, pronto a soccorrere tutti gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, grazie al sacrificio di suo figlio Gesù Cristo.
L’opera contiene echi delle dottrine di Juan de Valdés, ma anche citazioni dalle opere di Giovanni Calvino, Martin Bucer, Filippo Melantone e Martin Lutero, che sono forse dovute alla mano del Flaminio, il cui ruolo nell’elaborazione del testo rimane piuttosto oscuro.
Il Beneficio di Cristo fu violentemente attaccato già nel 1544 da Ambrogio Catarino (Lancellotto Politi), che in quell’anno pubblicò a Roma un Compendio d’errori e inganni luterani contenuti in un libretto senza nome de l’autore, intitolato Trattato utilissimo del beneficio di Cristo crocifisso. Condannato anche in sede conciliare nel 1546, fu inserito poco dopo nell’Indice dei libri proibiti stilato da Giovanni della Casa. Il Sant’Uffizio dell’Inquisizione provvide poi a ricercare e distruggere quante più copie possibile dell’opera. A giudicare dalla rarità di tutte le edizioni di quegl’anni si può dire che vi riuscì perfettamente.
Le autorità ecclesiastiche non riuscirono invece a mettere le mani sull’autore e sul revisore. Solo molti anni dopo la morte di entrambe, i nomi dei due redattori dell’opera vennero fuori attraverso la confessione del protonotario apostolico Pietro Carnesecchi, grande amico del Flaminio, che fu sottoposto a processo nel 1566 dopo la scoperta del suo epistolario con Giulia Gonzaga e poi giustiziato l’anno seguente per eresia.
Nel Beneficio di Cristo si è visto il miglior frutto italiano dell’idee dell’evangelismo di Juan de Valdés. Questi, proveniente da una famiglia di conversos, nacque a Cuenca, città di cui il padre era “regidor”. Dopo aver assistito alle lezioni del grande giurista e umanista Pietro Martire d’Anghiera, nel 1523 si recò ad Escalona per entrare al servizio di Diego López Pacheco, marchese di Villena, un seguace del pensiero erasmiano che ebbe una certa influenza sul movimento Alumbrado. Nel 1527 entrò nella celebre università di Alcalà de Henares, dove ebbe modo di approfondire gli scritti di Erasmo, di Lutero e degli altri riformatori e dove studiò latino, greco ed ebraico. Ad Alcalà nel 1529 pubblicò il suo primo scritto, il Diálogo de doctrina Christiana. L’opera suscitò un vasto consenso, ma attirò su di lui anche le attenzioni dell’Inquisizione spagnola. Nel ’31 decise allora di riparare a Roma, dove, grazie all’intercessione di Juan Ginés de Sepúlveda, riuscì ad entrare alla corte di papa Clemente VII. Alla morte di quest’ultimo, nel 1534, si trasferì a Napoli, dove il viceré Pedro de Toledo lo nominò ispettore delle fortificazioni. Nel 1536 Valdés conobbe Bernardino Ochino e tra i due nacque subito una profonda affinità spirituale ed una reciproca influenza.
Fu a Napoli, negli ultimi cinque o sei anni di vita del Cuencano, che si formò intorno alla sua figura carismatica un circolo spirituale fatto di uomini e donne alla ricerca di una nuova religiosità. Tra coloro che fecero parte della cerchia del Valdés o furono influenzati dal suo pensiero figurano Pier Paolo Vergerio, Giulia Gonzaga, Bernardino Ochino, Pietro Carnesecchi, Galeazzo Caracciolo, Caterina Cibo, Roberta Carafa, Vittoria Colonna, Marco Antonio Flaminio, Bartolomeo Spadafora e Pietro Martire Vermigli.
Conseguenza dello stretto rapporto spirituale con Giulia Gonzaga, fu la stesura dell’Alphabeto christiano (pubblicato postumo dal Flaminio nel 1544), in cui Valdés istruisce la sua “allieva” in un dialogo intimo e serrato fra i due. Le Cento e dieci divine considerazioni, forse la sua opera più significativa, furono invece pubblicate postume dal Vergerio a Basilea nel 1550.
Dopo la sua morte (agosto 1541), l’eredità del Valdés fu raccolta a Viterbo dal cosidetto circolo degli “Spirituali”, che si riuniva intorno alla figura dell’alto prelato inglese Reginald Pole, nominato legato di quella città nel 1541. Animatore del gruppo fu il solito Flaminio. Il circolo di Viterbo, a cui aderirono tra gli altri Vittore Soranzo, Pietro Carnesecchi, Alvise Priuli, Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga, ebbe vita breve, solo fino all’autunno del 1542, ma ebbe grande importanza per la diffusione degli scritti ereticali. Benedetto da Mantova, al secolo Benedetto Fontanini, fu anch’egli uno degli esponenti di spicco degli ambienti riformati italiani. Originario di Mantova, prese gli ordini nel 1511 presso il monastero di San Benedetto in Polirone, ma ricevette la sua formazione nel monastero di San Benedetto Po, dove ebbe come compagni Teofilo Folengo e Luciano degli Ottoni. Nel 1534 era decano del monastero veneziano di San Giorgio Maggiore, circostanza in cui è ipotizzabile che egli facesse la conoscenza del Pole e del Flaminio. Tra il 1537 e il 1540 fu in Sicilia presso il monastero di S. Nicolò l’Arena, dove si legò di profonda amicizia con il confratello Giorgio Siculo, poi impiccato per eresia nel 1551. Prima di raggiungere la sua destinazione, Benedetto aveva fatto tappa a Napoli, venendo in contatto con il gruppo dei Valdesiani. Dal ’44 al ’46 fu rettore dell’abbazia di Santa Maria della Pomposa. Negli ultimi anni visse al seguito del Siculo. Dopo il 1555 si perde di lui ogni traccia.
Descrizione fisica. Un volume in 16mo di cc. 70, (2).
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010