ARETINO, Pietro (1492-1556). Ragionamento della Nanna, et della Antonia, fatto in Roma sotto una ficaia, composto dal divino Aretino per suo capriccio, a corretione de i tre stati delle donne. Parigi [ma Venezia], Ubertinus Mazzola [ma Francesco Marcolini], aprile 1534.
(SEGUE:)
Dialogo di M. Pietro Aretino nel quale la Nanna il primo giorno insegna a la Pippa sua figliuola ad esser puttana, nel secondo gli conta i tradimenti che fanno gli huomini a le meschine che gli credano, nel terzo et ultimo la Nanna et la Pippa sedendo nel orto ascoltano la comare et la balia che ragionano della ruffiania. Torino [ma Venezia], P.M.L. [Francesco Marcolini?], 1536.
PRIME EDIZIONI dei primi due celebri Ragionamenti di Pietro Aretino, quelli che hanno per protagonista la Nanna che, dialogando con l’Antonia, istruisce la figlia Pippa sui tre stati canonici della condizione femminile (monaca, maritata, puttana), consigliandole in fine di perseguire la carriera di cortigiana, considerata tutto sommato la più sicura e la più onesta. Da buona mamma, la Nanna insegna poi alla figlia i segreti del mestiere e i rischi, che consistono essenzialmente nei tradimenti che commettono gli uomini nei confronti delle sprovvedute che si fidano di loro. I due dialoghi, stampati clandestinamente per il loro contenuto osceno, sono divisi in tre giornate ciascuno. Essi ebbero un successo straordinario e furono spesso ristampati insieme come Sei giornate o Ragionamenti. Il tipografo londinese John Wolf li ripubblicò nel 1584 unitamente allo spurio Ragionamento del Zoppino fatto frate, e Lodovico puttaniere dove contiensi la vita e la genealogia di tutte le cortigiane di Roma ([Venezia], Francesco Marcolini, 1539), creando il canone dei Ragionamenti per i secoli seguenti.
Questi dialoghi, a cui risale la fama dell’Aretino come scrittore pornografico, sfruttano il codice praticato dell’osceno per mettere in burla la società contemporanea secondo un registro satirico e caricaturale, che l’autore padroneggiava con grande maestria. Ma essi sono anche il prodotto di una studiata strategia editoriale, perseguita dall’Aretino in accordo con il “suo” tipografo, Francesco Marcolini, che tra il 1534 e il 1545 pubblicò ben trentasette opere aretiniane, diciannove delle quali in prima edizione.
Sono quelli gli anni in cui a Venezia, capitale italiana del libro, la letteratura volgare, fatta di testi cavallereschi, libri devozionali, più o meno eterodossi, e raccolte di rime, di lettere e di novelle, vive il suo momento di maggior splendore e fortuna, prima che le maglie della censura ecclesiastica, verso la metà degli anni Quaranta del secolo, si facciano sempre più strette, imponendo dei canoni molto rigidi.
Ai Ragionamenti sopra citati si ricollegano per stile e intento caricaturale il Ragionamento nel quale Pietro Aretino figura quattro suoi amici, che favellano delle corti del mondo, e di quella del cielo, apparso per la prima volta senza note tipografiche nel 1538, e il più sobrio Dialogo di Pietro Aretino, nel quale si parla del giuoco con moralità piacevole (Venezia, Giovanni Farri, 1543).
Pietro Aretino nacque ad Arezzo nel 1492 da una famiglia di modeste condizioni. Il padre, che in un momento imprecisato abbandonò la famiglia, doveva probabilmente chiamarsi Del Tura. Pietro fu quindi allevato dalla madre. Ribelle ed insofferente alle regole sin da giovane, verso il 1506 si trasferì a Perugia, dove godé della protezione di Francesco Bontempi.
Nella città umbra, Aretino frequentò gli ambienti dei poeti e dei pittori, dedicandosi egli stesso a queste due attività. Conobbe inoltre Agnolo Firenzuola, che divenne suo compagno di imprese burlesche e scapestrate. Frutto del periodo perugino sono le rime raccolte nel volume Opera nova (Venezia, Zoppino, 1512), primo libro pubblicato dell’Aretino.
Dopo un breve soggiorno a Siena, in cui fu al servizio di Agostino Chigi, nel 1517, grazie all’appoggio di quest’ultimo, egli giunse a Roma e fu accolto nel mondo cortigiano di Leone X. Amico di Bernardo Accolti, detto Unico Aretino, Pietro divenne presto celebre nella capitale pontificia per la sua audacia e prontezza espressiva, che lo rendeva al contempo amato, per il riso e la simpatia che sapeva comunicare, e temuto per la paura di finire vittima dei suoi terribili strali satirici. Egli seppe diventare il confidente di politici e diplomatici, nonché sodale di artisti e poeti. Da essi raccolse una messe di aneddoti e segreti, di cui si servì per porsi al centro della vita sociale romana.
Dopo la morte di Leone X, egli attuò una feroce campagna denigratoria nei confronti di tutti i rivali del suo protettore Giulio de’ Medici al soglio pontificio. Ne ricavò grande fama personale, ma in seguito all’elezione di Adriano VI fu costretto a lasciare la città.
Nel 1523 accettò l’invito di Federico Gonzaga e si trasferì a Mantova. Nello stesso anno conobbe vicino Reggio Emilia il celebre condottiero Giovanni de’ Medici, detto delle Bande Nere, con il quale strinse uno stretto sodalizio. Nel settembre fece ritorno a Roma, dove nel frattempo era divenuto papa Giulio de’ Medici con il nome di Clemente VII.
L’Aretino riprese quindi il suo abituale ruolo di fustigatore di umili e potenti, ma presto dovette affrontare l’ostilità del datario pontificio Giovanni Matteo Giberti, il quale, vittima dei suoi attacchi, cercò nel 1525 di ucciderlo. Pietro scampò a stento all’attentato e fuggì da Roma alla volta di Mantova, dove fino alla sua morte, avvenuta nel novembre del 1526 per un colpo di cannone, rimase accanto all’amico Giovanni delle Bande Nere. All’ultimo periodo romano e al periodo mantovano risalgono la stesura del poema incompiuto sui Gonzaga, poi stampato con il titolo la Marfisa (1532), e delle commedie La Cortigiana (1534) e Il Marescalco (1533), che si aggiunsero al corpus delle sue opere, formato fino a quel momento soprattutto dai sonetti così detti “lussuriosi”.
Nel 1527 Aretino giunse a Venezia, dove sarebbe rimasto per il resto della sua vita. Strinse presto amicizia con Jacopo Sansovino e con il pittore Tiziano, che di lui fece il celebre ritratto successivamente riprodotto in molte delle sue edizioni. Nella città lagunare Pietro godé di ampie protezioni e condusse una vita estremamente fastosa e libertina, sfruttando il proprio prestigio internazionale. Egli inviava pronostici più o meno favorevoli e testi elogiativi o calunniatori ai potenti di tutta Europa, in base alle sue simpatie e ai benefici che poteva ricavarne. Essi cominciarono a temerlo e a coprirlo di doni e titoli, pur di godere dei favori della sua penna.
A Venezia Aretino iniziò anche a scrivere e pubblicare sistematicamente i suoi scritti, seguendo due filoni ben distinti: quello religioso-devozionale, con opere come I sette salmi de la penitenza di David (1534), la Umanità di Cristo (1535) e la Vita di Maria Vergine (1540), e quello profano, formato dai Ragionamenti e da una vasta produzione teatrale che comprende, oltre alle due commedie già citate, anche l’Ipocrito (1542), la Talanta (1542), il Filosofo (1546) e l’Orazia (1546).
Accanto a questi due filoni è da porre la sua creazione più originale, quella che più di ogni altra esprime le qualità umane e letterarie dell’Aretino, ossia la serie dei libri delle sue Lettere. Al primo, uscito nel 1537, fecero seguito altri cinque volumi (1542, ’46, 50 e ’57), cui sono da aggiungere altri due di Lettere a Pietro Aretino (1551).
Negli anni Quaranta, pur godendo ancora della stima di potenti uomini politici come l’imperatore Carlo V, egli dovette subire le restrizioni del nuovo mutato clima religioso. La sua produzione letteraria si fece più controllata ed egli dovette fronteggiare i violenti attacchi degli ex-amici ed allievi Nicolò Franco e Anton Francesco Doni. Nel 1553 compì un ultimo viaggio a Roma in compagnia del duca Guidobaldo d’Urbino. Morì a Venezia tre anni dopo.
Descrizione fisica. Due volumi in 8vo di pagine 198, (2) + cc. (148).
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010