ARIOSTO, Ludovico (1474-1533). Orlando furioso. (Ferrara, Francesco Rossi, 1532).
PRIMA EDIZIONE in quarantasei canti dell’Orlando furioso, il celebre poema cavalleresco nato come continuazione dell’Innamoramento d’Orlando di Matteo Maria Boiardo.
I libri di cavalleria, che traevano la loro materia dai vari cicli dell’epopea carolingia ( Cantari di Rinaldo , Spagna , Cantari d’Aspramonte, Danese, Ancroia), sviluppandone alcuni aspetti in un susseguirsi di avventure a catena che potevano sempre essere riprese e continuate, divenne un genere chiave tra Quattro e Cinquecento, dando vita ad un mercato che nel corso di un secolo sfonderà circa mezzo milione di libri. Il genere, che prevedeva una struttura ad episodi ed utilizzava come metro unico l’ottava, era fortemente legato all’oralità, tanto che anche il capolavoro del Boiardo, composto e recitato dall’autore per la corte, rivela ancora un andamento espositivo legato alla prassi della lettura pubblica.
Non così il poema dell’Ariosto, che, pur riprendendo la classica struttura a suspence, in cui le azioni dei personaggi si intrecciano incessantemente fra loro e sono inframmezzate da digressioni e divagazioni varie, è già sintonizzato sul girare pagina di chi legge da solo il libro. Fu anche per questo motivo che Ariosto seguì personalmente la stampa delle tre principali edizioni del suo poema apparse durante la sua vita.
Dopo la prima edizione del Mazzocchi uscita nel 1516 e la seconda, in parte rivista e corretta, di Della Pigna del 1521 (entrambe le edizioni, apparse a Ferrara, comprendono solamente quaranta canti), Ariosto sottopose l’opera ad una profonda revisione. Introdusse sei nuovi canti (il XXXIII, il XXXVIII, XXXIX, il XLII, il XLIV e il XLV) e modificò il testo, cambiando parole, inserendo versi e aggiungendo ottave, soprattutto a partire dal nono canto. Il testo di questa edizione è pertanto considerato come il testo definitivo del poema e fungerà da modello a tutte le edizioni successive.
Tra il 1516-‘21 e il 1532 il clima politico e culturale era profondamente cambiato. L’Italia aveva traumaticamente subito gli scontri fra Carlo V e Francesco I e il Sacco di Roma (1527), mentre nel ’25 erano apparse le Prose del Bembo, che avevano imposto un nuovo canone letterario. Ariosto sottopose il suo poema ad una capillare revisione linguisticostilistica, che comportò la sostituzione di molte voci dialettali e latinismi con termini toscani; inoltre abbandonò l’iniziale dimensione municipale per abbracciarne una decisamente nazionale, coll’aggiunta di riferimenti alla storia italiana ed europea.
Ariosto si curò personalmente anche della veste grafica e della correttezza dell’edizione, che è pertanto quella che meglio di ogni altra riflette la volontà dell’autore. Le numerose varianti testuali presenti nelle varie copie dell’edizione del ’32 testimoniano delle continue correzioni apportate dall’autore al testo, man mano che procedevano le operazioni di stampa.
Nel frattempo il poema era divenuto un vero e proprio classico, conteso a colpi di “novità” da tutti gli editori della penisola. Nel 1535 i tipografi veneziani Bindoni e Pasini stamparono per la prima volta l’Orlando furioso con le correzioni e gli apparati al testo di Lodovico Dolce.
Del Dolce sarà anche la cura editoriale della prima importante edizione dell’opera data da Gabriel Giolito de’ Ferrari nel 1542, che è considerata come la prima edizione illustrata del poema. Benché l’idea di illustrare ogni canto con una xilografia fosse stata realizzata per la prima volta da Nicolò Zoppino nella sua stampa del 1530, le figure dell’edizione giolitina, di autore anonimo, sono notevolmente superiori sia nell’invenzione che nell’intaglio, tanto che ricevettero le lodi del Vasari. Giolito produrrà, nel giro di solo una ventina d’anni, ben quattordici edizioni in 4to e dodici in 8vo del capolavoro ariostesco. Nel 1545 apparve l’unica edizione aldina dell’Orlando furioso, che si distingue in quanto è la prima a contenere i famosi Cinque canti. Questi canti, composti dall’Ariosto nel periodo che intercorre tra la prima e la seconda edizione e poi rivisti prima della terza, sono trasmessi con significative varianti anche dall’edizione giolitina del 1548 e da un manoscritto copiato da un parente dell’autore e ora conservato presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara. Non è chiaro cosa Ariosto intendesse fare di questi canti. Probabilmente, scontento della loro riuscita, non volle inserirli né nell’edizione del 1521 né in quella del’32.
Nel 1556 Girolamo Ruscelli curò per il tipografo veneziano Vincenzo Valgrisi un’edizione che si segnala non tanto per l’accuratezza del testo o la qualità degli apparati critici, quanto piuttosto per la veste tipografica che incorpora per la prima volta figure intagliate in legno a piena pagina. Ma la più sontuosa edizione cinquecentesca del Furioso è considerata quella illustrata da Girolamo Porro configure in rame a piena pagina, che apparve a Venezia presso i torchi di Francesco de Franceschi nel 1584.
L’Orlando furioso godé di un’ininterrotta fortuna editoriale. Continuò ad essere stampato, corredato dalla consueta serie di figure xilografiche e unitamente ai soliti apparati critici di Dolce, Tommaso Procacchi e Simone Fornari, per tutto il Seicento e per gran parte del Settecento, fino alle celebri edizioni illustrate in più volumi di Antonio Zatta (Venezia, 1772-‘73) e John Baskerville (Birmingham, 1773).
Ludovico Ariosto, originario di Reggio Emilia, all’età di dieci anni si trasferì con il padre a Ferrara. Studiò diritto e apprese le lettere e il latino. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1500, in quanto maggiore di vari fratelli e sorelle, dové provvedere all’amministrazione dei beni familiari. Nel 1502 fu nominato capitano della rocca di Canossa. L’anno seguente entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, per il quale svolse compiti di segretario, seguendolo nei suoi numerosi viaggi diplomatici. Quando questi, nel 1517, fu creato vescovo di Buda, Ariosto si rifiutò di seguirlo, adducendo come scusa la rigidezza del clima.
Gli anni seguenti, passati al diretto servizio del duca Alfonso, furono anni tranquilli e sereni, fino a quando, nel 1522, fu costretto a trasferirsi in Garfagnana, da poco caduta in mano agli Estensi, in qualità di commissario. Durante questo incarico, che mantenne fino al 1525, Ariosto dimostrò notevoli doti diplomatiche nel tentativo di riportare all’ordine quella terra infestata di banditi e briganti. Trascorse gli ultimi anni a Ferrara, dedicandosi all’ozio letterario.
Ariosto fu anche autore di rime, satire e numerose commedie di grande successo, in prosa e in versi. Queste ultime, ossia La Cassaria, I Suppositi, Il Negromante, La Lena e La Scolastica, segnano la rinascita del teatro comico antico e furono più volte ristampate nel corso del Cinquecento.
Descrizione fisica. Un volume in 4to di carte 248 non numerate. Frontespizio stampato in rosso entro bella bordura ornamentale incisa in legno su fondo nero. A carta 247 recto, racchiuso entro la medesima cornice del titolo, si trova per la prima volta il ritratto xilografico dell’autore disegnato dal Tiziano e inciso da Francesco de Nanto, che sarà riutilizzato o copiato in tutte le edizioni successive. La marca tipografica stampata sull’ultima carta fu ideata dallo stesso Ariosto. Testo su due colonne. Di questa edizione si conoscono copie in carta grande, che furono stampate per ultime e che quindi sono considerate più attendibili delle altre. Esse erano destinate all’autore e ai suoi amici e protettori. L’edizione del Furioso del 1532 rappresenta per la storia della bibliografia testuale applicata alla nostra letteratura quanto la first folio edition di Shakespeare ha rappresentato per l’analytical bibliography inglese. Come infatti la celebre edizione delle opere shakespeariane, principale fonte del testo, è stata oggetto di importanti ricerche che hanno portato alla fondazione della disciplina, così le indagini condotte da C. Fahy ed altri sull’edizione ferrarese sono state prese a modello negli studi successivi.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010