PULCI, Luigi (1432-1484). Morgante maggiore. (Firenze, Francesco di Dino, 7 febbraio 1482 [in realtà 1483]).
PRIMA EDIZIONE in ventotto canti del Morgante maggiore, fortunatissimo poema cavalleresco, nel quale le epiche gesta del gigante Morgante assumono un ruolo centrale all’interno delle consuete vicende dei paladini di Francia, desunte dalla tradizione carolingia.
Morgante è un saraceno che si converte al cristianesimo e diventa scudiero di Orlando. La sua figura, insieme a quella sacrilega di Margutte, che ripudia e disprezza le religioni, colpì enormemente l’immaginario popolare dell’epoca. Le sue imprese sono dilatate fino al parossismo e permettono all’autore di introdurre, tra battaglie iperboliche ed azioni inverosimili, quella vena parodica e dissacratrice che gli attirò gli strali di Girolamo Savonarola e Marsilio Ficino.
L’editio princeps del Morgante, contenente i primi ventitre canti, oggi perduta, fu stampata a Firenze intorno al 1478 dalla celebre tipografia impiantata nel convento delle suore domenicane di San Jacopo a Ripoli, che, sotto la direzione di frate Domenico da Pistoia, si era specializzata nella produzione di letteratura popolare. Dallo stesso torchio due anni dopo uscì un opuscolo contenente la storia di Margutte, estratta dal diciottesimo e diciannovesimo cantare del poema, e nel 1482 un’edizione del Morgante, di cui è rimasta una sola copia presso l’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena. Nello stesso anno il tipografo veneziano Luca di Domenico ne diede una stampa più corretta, perché eseguita con ogni probabilità su di un esemplare della perduta princeps annotato dall’autore.
Nel frattempo Pulci aveva composto cinque nuovi canti (dal ventiquattresimo al ventottesimo), che, unitamente al resto del poema, furono pubblicati da Francesco di Dino, forse perché il torchio del monastero di Ripoli era impegnato nella stampa del Platone ficiniano. Il colophon indica come data di stampa il 1482 secondo il calendario fiorentino, ma l’edizione fu sicuramente completata l’anno seguente. I nuovi canti, rifacendosi alla saga di Spagna, quella contenente la celebre disfatta di Roncisvalle, presentano un nuovo registro poetico, più cupo e meno faceto.
Nel 1494 Manfredo Bonelli da Streva pubblicò a Venezia una magistrale edizione illustrata del Morgante, che divenne un modello per tutti i successivi libri di cavalleria. Nel 1502 fu la volta del celebre editore Gian Battista Sessa, imitato cinque anni dopo da Niccolò Zoppino che utilizzò i torchi del Bonelli. Nel proliferare di edizioni cinquecentesche si segnala infine il tentativo canonizzatore di Lodovico Domenichi, che nello stesso anno (Venezia, Girolamo Scotto, 1545) toscanizzerà sul piano linguistico sia il Morgante che l’ Orlando innamorato del Boiardo.
Luigi Pulci, fiorentino di famiglia nobile, ma in ristrettezze economiche a causa della rovina del padre e della sventatezza dei fratelli Bernardo e Luca, anch’essi poeti (il secondo morì in carcere, dove era finito per debiti), si avvicinò alla corte medicea verso il 1460, quando cominciò a recitare a palazzo stralci del suo poema davanti a Lucrezia Tornabuoni, scrittrice di laudi e dedicataria del Morgante, e davanti al piccolo Lorenzo de’ Medici, che di Lucrezia era figlio.
L’amore per la letteratura volgare unì Lorenzo e Luigi per molto tempo, almeno fino all’inizio degli anni Settanta del secolo, quando l’aspra disputa che Pulci ebbe con Marsilio Ficino, da lui considerato un mistificatore e un levantino, lo costrinse ad allontanarsi dalla corte medicea e causò il distacco fra lui e il suo protettore. Questi, dopo l’elezione a duca nel 1469, sotto l’influenza del filosofo di Careggi aveva finito per ripudiare la letteratura amena, avvicinandosi al neoplatonismo.
Negli ultimi anni, come testimoniano i cinque canti conclusivi del poema, Pulci sembrò in parte pentirsi della sua precedente ribalderia e probabilmente cercò di riavvicinarsi a corte. Nel settembre del 1484 entrò a far parte del seguito di Roberto Sanseverino, condottiero al servizio dei Veneziani, che lo nominò suo procuratore a Firenze. Morì tuttavia poco dopo a Padova, dove, a causa della sua fama di ateo, fu sepolto in terra sconsacrata.
Descrizione fisica. Un volume in folio di 238 carte non numerate. Testo stampato su due colonne.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010