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Il punto di Umberto Pregliasco

Data 01/12/2020       Categoria Articles and Publications
Autore Admin

Il punto di Umberto Pregliasco

L'intera pagina del Sole 24 Ore di domenica 9 novembre dedicata ai problemi del libro antico, con i due acuti articoli di Daniele Danesi e Fabrizio Govi, mi ha spinto a dire poche parole prima dell'asta 'dissequestrata' di Bloomsbury Roma. Se non fosse stato all'estero, questo discorso avrebbe dovuto farlo – e se lo sarebbe meritato visto quanto sta facendo per il bene di tutti i soci dell'ALAI – proprio Govi, che dal 2010 mi è succeduto alla Presidenza dell’Associazione. Chi mi conosce sa bene quanto mi costa ammettere che Fabrizio, con l’aiuto del nostro Direttore Gianfranco Varcasia, si sta rivelando un Presidente migliore di me, per l'impegno e l'efficienza con cui ha affrontato il punto più basso della crisi economica nonchè il fattaccio della biblioteca dei Girolamini.
Quest’asta, in programma cinque mesi fa, e più volte rinviata per i motivi che ben sappiamo, finalmente ha avuto luogo. Non è importante che abbia avuto un esito soddisfacente, contro tutto e contro tutti. Deve essere un segnale, un simbolo: quello della rinascita di un mercato che, grazie alla passione autentica dei bibliofili e dei librai, può dimostrarsi più forte degli effetti delle condizioni disastrose in cui versano le nostre povere istituzioni e le biblioteche pubbliche.
Più forte della congiuntura; più forte delle prevaricazioni che continuano a farci deridere nell'ambiente internazionale.
Più forte della Macchina del fango e delle calunnie dei guappi di carta velina (neppure di cartone…) che hanno devastato le biblioteche ed il nostro stesso mestiere.
Tutti i bibliofili, siano essi collezionisti o librai, vorrebbero che ognuno dei propri libri fosse un unicum, il solo esemplare rimasto al mondo. Purtroppo per loro, non è così.
Per fortuna, non è così: il libro, per quanto raro e prezioso possa essere, nasce e resta un multiplo, che può avere più o meno margini, una legatura in scrofa coeva piuttosto che in mezza tela dell’Ottocento, una gora d’umido all’inizio o una macchia d’inchiostro alla fine. Questo essere multiplo – che è stato il fattore saliente della più grande democratizzazione della cultura 550 anni prima di Internet – fa sì che un volume abbia il diritto di essere libro e libero, che non debba subire l’umiliazione di un sequestro. Non già perché abbia una pelle (o una pergamena…) – diversa ma soltanto perché ha lo stesso titolo (spesso, neppure la stessa data) di un volume che forse è stato rubato, o perduto, o venduto di nascosto, e la cui scomparsa è stata denunciata dopo che il libraio o la casa d’aste di turno lo ha ingenuamente pubblicato su un catalogo o su un motore di ricerca.
Stefano Salis domenica ha voluto pubblicare un articolo di un grande bibliografo – ancor prima che bibliotecario– Daniele Danesi, il quale ha usato parole più amare e più dure di quelle che avrei potuto scrivere io ai tempi della mia presidenza, quando feci recuperare centinaia di Incunaboli rubati. Danesi ha espresso il disagio di chi – da una parte o dall’altra – deve o ama lavorare per la tutela e la diffusione del Libro Antico. 
Auguriamoci che l'attenzione dell'opinione pubblica sia il segnale di un’inversione di tendenza, verso la rinascita del mercato e soprattutto della cultura, del Libro Antico.


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