Classici Italiani
L'infinità dei mondi e l'amore universale - 1585

Data 01/12/2020       Categoria Classici Italiani
Autore Admin

L'infinità dei mondi e l'amore universale - 1585

BRUNO, Giordano (1548-1600). De gl’heroici furori. Parigi [i.e. Londra], Antonio Baio [i.e. John Charlewood?], 1585.

 

PRIMA EDIZIONE della più celebre tra le opere del grande filosofo nolano.

Scritto durante il suo soggiorno in Inghilterra, dove sbarcò nel 1583, De gl’heroici furori è un testo molto complesso, composto da dieci dialoghi (gli interlocutori, uomini e donne, sono tutti conterranei dell’autore o amici di famiglia, come Luigi Tansillo), che sono a loro volta formati da un emblema espresso a parole, da un sonetto d’amore di stampo petrarchesco e da un commentario, in cui i segreti magico-ermetici racchiusi simbolicamente vengono svelati.

Nella dedica a Sir Philip Sidney, Bruno definisce il proprio petrarchismo come un petrarchismo non legato all’amore per una donna, bensì diretto a rivelare le verità profonde dell’animo umano e del cosmo. Il filosofo è il mago ermetico della tradizione ficiniana. Attraverso la conoscenza ermeticoegiziano-cabalistica egli giunge alla comprensione del cosmo nella sua infinità, al riconoscimento del divino in tutte le cose e all’amore unificante, al quale si contrappongono le divisioni e le guerre dei “pedanti” intolleranti, siano essi cattolici o protestanti.

Gli eroici furori, in sostanza, compendiano ed esaltano poeticamente i principi fondanti della filosofia bruniana, quale è espressa nei dialoghi cosmologici (Cena de le ceneri, De la causa, principio et uno e De l’infinto, universo e mondi) ed etici (Spaccio de la bestia trionfante e Cabala del cavallo pegaseo) precedentemente composti durante il soggiorno inglese.

Bruno nacque a Nola nel gennaio-febbraio del 1548 e fu battezzato con il nome di Filippo. A quattordici anni si trasferì a Napoli per studiare logica e dialettica. Nel 1565 entrò nel convento napoletano di S. Domenico Maggiore, dove assunse il nome di Giordano. Nonostante le difficoltà dovute al suo difficile carattere, nel 1572 fu ordinato sacerdote e nel 1575 si laureò in teologia. L’anno seguente, volendo evitare un processo aperto a suo carico per aver messo pubblicamente in dubbio il dogma della Trinità, lasciò Napoli e, dopo aver peregrinato per diverse città italiane, giunse a Ginevra, dove fu accolto dalla comunità evangelica fondata dal marchese di Vico, G.G. Caracciolo.

Bruno aderì al calvinismo, ma dopo poco fu scomunicato dalla chiesa ginevrina. Si recò allora a Lione e Tolosa. Nel 1581 giunse a Parigi, dove tenne trenta lezioni teologiche su San Tommaso. La fama delle sue capacità mnemotecniche, che egli coltivava sin da quando, in gioventù, aveva avuto modo di leggere il trattatello di Pietro da Ravenna, giunse all’orecchio del re, che lo convocò a corte.

Durante il suo soggiorno parigino egli pubblicò varie opere, tra cui il De umbris idearum (1582), dedicato a Enrico III, contenente un’appendice sull’arte della memoria, e la celebre commedia Il candelaio (1582).

Nel 1583 attraversò la manica e arrivò in Inghilterra a Oxford, dove tenne alcune letture, in cui sosteneva, tra le altre cose, la teoria cosmologica copernicana. Interrotto il corso dopo la terza lezione, giunse a Londra, dove diede alle stampe vari scritti, tra cui la Cena de le ceneri (1584), opera nata da un diverbio avuto durante una cena tenutasi il mercoledì delle Ceneri. Gli attacchi in essa contenuti contro i professori di Oxford e la società inglese lo costrinsero nel 1585 a ritornare a Parigi.

La mutata situazione politica francese e nuovi scontri personali lo indirizzarono tuttavia verso la Germania. Nel 1586 si immatricolò prima all’università di Marburgo, quindi in quella di Wittenberg, dove insegnò indisturbato per due anni, pubblicando varie opere. Nel 1588 giunse a Praga, dove godé del mecenatismo dell’imperatore. Tra il 1588 e il 1589 fu invece a Helmstedt, dove prese parte ai lavori dell’Academia Iulia e dove produsse alcuni scritti “magici”, poi pubblicati a Francoforte nel 1591.

Quello stesso anno accettò l’invito del patrizio Giovanni Mocenigo, che voleva apprendere le tecniche dell’arte della memoria, e si recò a Venezia. Nel 1592 il Mocenigo, deluso dall’insegnamento del Nolano, decise di farlo arrestare per eresia.

Cominciò così la prima fase, quella veneta, del processo a Bruno, che nove mesi dopo fu estradato a Roma. Nei successivi sette anni di carcere presso il Sant’Uffizio egli continuò a difendersi e a sostenere le proprie idee. Rifiutandosi di abiurare, il 17 febbraio del 1600 fu arso vivo in Campo de’ Fiori.

Moriva in questo modo uno dei primi spiriti ad aver percepito e sofferto la vertigine aperta dalle nuove scoperte geografiche ed astronomiche. Con la sua morte egli inaugurò simbolicamente il nuovo secolo della scienza, che pure era ancora così lontana dal suo modo di pensare.

 

Descrizione fisica. Un volume in 8vo di cc. (140).

F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010






Torna indietro
TOP