Classici Italiani
Genio e irriverenza - 1728

Data 01/12/2020       Categoria Classici Italiani
Autore Admin

Genio e irriverenza - 1728

CELLINI, Benvenuto (1500-1571). Vita. Colonia [i.e. Napoli], Pietro Martello, [1728].

 

PRIMA EDIZIONE. Composta fra il 1558 e il 1567, la Vita del Cellini nacque dall’esigenza di rendere noto a Cosimo I de’ Medici, a cui l’opera è indirettamente rivolta, le straordinarie doti tecniche dell’autore.

Questi, caduto in disgrazia presso la corte medicea dopo i “fiaschi” del busto del granduca (1546) e del Perseo (1554), non riusciva a capacitarsi di come gli potessero venir preferiti artisti “da strapazzo”, quali egli considerava Baccio Bandini e Niccolò Ammannati. Da qui il tono risentito e fortemente polemico della Vita e la violenta immediatezza del linguaggio, che si mescolano in una miscela esplosiva con la straordinaria egolatria dell’autore.

Questi sottopose il manoscritto dell’opera a Benedetto Varchi, il maggior letterato fiorentino del tempo, e continuò a limarla fino al1567, quando finalmente (e saggiamente) decise di non pubblicarla, preferendo dare alle stampe (Firenze, 1568) i Due trattati sull’arti dell’oreficeria e della scultura, in cui diede prova della sua estesa conoscenza dei procedimenti tecnici più disparati.

L’irriverenza di molte pagine della Vita e la centralità che Cellini riserva a sé stesso a volte con spacconate al limite del credibile (anche se nessuno è ancora riuscito a sconfessarlo veramente), come nel racconto delle gesta da lui compiute durante il Sacco di Roma; altre volte con accenti veramente epici, come nelle bellissime e sentite pagine dedicate al racconto della fusione del Perseo non avrebbero potuto essere cancellate o modificate attraverso nessuna correzione. Il libro, semplicemente impubblicabile per la sua non conformità ai modelli storiografici ufficiali (l’irruenza e l’immediatezza realistica erano caratteristiche anche della scultura celliniana che non piacevano a Cosimo, più attratto dall’astrattezza celebrativa dei Bronzino e dei Bandinelli), cadde quindi nell’oblio.

Il manoscritto originale (oggi conservato alla Laurenziana), solo in parte di mano del Cellini, fu riscoperto nel 1728 dal medico Antonio Cocchi, il quale lo fece pubblicare a Napoli, ma prudentemente preferì apporvi un falso luogo di stampa. Iniziò così la fortuna europea della Vita , elogiata da Giuseppe Baretti, imitata da Giacomo Casanova e Vittorio Alfieri e tradotta in tedesco da Goethe. Benvenuto Cellini nacque a Firenze nel 1500. All’età di tredici anni entrò come apprendista nella bottega dell’orafo Michelangelo Brandini, padre dello scultore Baccio Bandinelli. Nel 1516 venne bandito da Firenze in seguito ad una rissa. Negli anni seguenti, contro la volontà del padre che voleva farne un musicista, Cellini frequentò varie altre officine a Bologna, Pisa, Firenze e Roma.

Nel 1523, condannato a morte per rissa ed atti di libidine, riparò a Roma, dove nel ’24 aprì una bottega propria. Dopo il Sacco, durante il quale disse di aver ucciso Carlo di Borbone, comandante in capo dell’esercito imperiale, e di aver ferito Filiberto d’Orange, che ne aveva preso il posto, si trasferì a Mantova, dove eseguì alcuni lavori per i Gonzaga.

Nel 1529, di nuovo a Roma, fu nominato da Clemente VII maestro della zecca pontificia. Dopo l’assassinio del fratello, Cellini si vendicò ammazzandone l’uccisore e, per timore di un attentato ai suoi danni, fece fuori anche l’orafo rivale Pompeo de’ Capitaneis.

Scampato ad una grave malattia che lo aveva condotto in punto di morte, nel 1537, per sfuggire alle grinfie di Pier Luigi Farnese, si recò in Francia in cerca della protezione di Francesco I, per il quale alcuni anni dopo realizzò la celebre saliera recentemente rubata dal museo di Vienna e poi fortunosamente ritrovata. Rientrato a Roma nel 1538, fu fatto arrestare dal Farnese. Dopo una rocambolesca fuga da Castel Sant’Angelo, durante la quale si procurò una frattura alla gamba, venne nuovamente incarcerato e finalmente liberato nel dicembre del ’39.

Nel 1544 entrò ufficialmente al servizio dei Medici e aprì bottega a Firenze. Nel 1557 fu condannato per aver tenuto per cinque anni un giovane «in letto come suo moglie». Liberato poco dopo per intercessione ducale, tra il 1558 e il 1559 perse la provvisione ducale e la committenza per la statua del Nettuno da porsi in piazza della Signoria, che fu vinta da B. Ammannati.

Nel 1564, in quanto membro dell’Accademia del Disegno, istituita appena l’anno prima, fu incaricato dell’allestimento dell’apparato funebre per le esequie “di stato” (le prime mai tributate ad un artista) di Michelangelo.

Sempre in lite con la corte per la mancanza di incarichi e per diverse pendenze di denaro, Cellini morì a Firenze il 14 febbraio del 1571.

 

Descrizione fisica. Un volume in 4to di pp. (8), 318, 2 bianche, (8). Frontespizio stampato in rosso e nero. Ritratto del Cellini inciso in rame da G. Rossi su disegno di M. Tuscher dal ritratto di G. Vasari.

F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010






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