Classici Italiani
La propaganda eterodossa - 1550

Data 01/12/2020       Categoria Classici Italiani
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La propaganda eterodossa - 1550

VERGERIO, Pier Paolo il Giovane (1498-1565). Dodici trattatelli. [Basilea, Giacomo Parco], (1550).

 

PRIMA EDIZIONE della maggior opera teorica di quello che fu il più attivo polemista e pubblicista tra gli eretici italiani del Cinquecento.

Vergerio scappò dall’Italia nel 1549. Come egli stesso riferisce nella lettera preliminare “ai fratelli d’Italia”, i Dodici trattatelli furono composti poco dopo la sua partenza allo scopo di fornire una giustificazione teologica, basata principalmente sul Vangelo, della sua fuga e del conseguente abbandono dei fedeli della sua diocesi di Capodistria.

Riprendendo e radicalizzando alcuni temi già discussi nelle Otto difensioni (scritte nel 1546 e pubblicate nel ’50 dallo stesso Giacomo Parco), egli sostiene la giustificazione per sola fede e sola Scriptura, rigetta l’autorità papale e conciliare, rifiuta la tradizione cattolica e sostiene la necessità di fomentare il dissenso per predicare i Vangeli. Sulla base dell’esempio paolino, Vergerio difende poi la fuga per evitare la persecuzione e la morte, ritenendola preferibile anche al nicodemismo, ossia alla dissimulazione della propria vera religiosità. La fuga permette infatti la predicazione e la diffusione della parola evangelica.

Coerentemente con questi presupposti, a differenza di alti illustri esuli italiani quali Bernardino Ochino e Pietro Martire Vermigli, Vergerio, che per la sua fama ed autorevolezza venne accolto benevolmente un po’ ovunque (almeno all’inizio), scelse di non trasferirsi a Wittenberg, dove risiedeva Filippo Melantone, sua vecchia conoscenza, né a Ginevra, Basilea e Zurigo, capitali della riforma elvetica, ma preferì stabilirsi nella Svizzera italiana, dove poteva accogliere i profughi provenienti dalla penisola e da dove poteva predicare ai suoi “fratelli italiani”. Nella Svizzera centrale egli si recava solamente per far stampare i suoi testi più impegnativi, mentre alcuni dei pamphlet più polemici apparvero in una piccola tipografia di Poschiavo.

Pier Paolo Vergerio, originario di Capodistria, allora parte dei domini della Serenissima, e discendente del celebre umanista suo omonimo, studiò legge a Padova, laureandosi nel 1524. In quegl’anni egli conobbe Pietro Bembo e Niccolò Leonico Tomeo, che divennero i protagonisti del suo primo lavoro, il dialogo De republica Veneta. Nel 1532 si trasferì a Roma, entrando al servizio di Clemente VII in qualità di segretario. Tra il 1532 e il 1535 fu mandato in missione diplomatica a Venezia, a Vienna presso la corte imperiale e a Wittenberg, dove conobbe Martin Lutero.

Rientrato in Italia, nel maggio del 1536 fu nominato vescovo di Capodistria. Già da tempo in contatto epistolare con il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi, celebre eretico condannato al rogo, Vergerio conobbe negli anni seguenti i maggiori esponenti della corrente così detta degli “spirituali”, ossia Bernardino Ochino, Gasparo Contarini, Reginald Pole, Alvise Priuli, Vittoria Colonna e Marcantonio Flamini. Nel 1540, mentre si recava in Francia al seguito del cardinale Ippolito d’Este, conobbe Renata d’Este, nota protettrice dei riformati italiani.

Incaricato da Francesco I di partecipare ai colloqui di Ratisbona del 1541, in quell’occasione Vergerio venne per la prima volta in contatto con Melantone, Martin Bucer e Jakob Sturm.

Nell’estate del 1541 fece ritorno nella sua diocesi di Capodistria, dedicandosi alla riorganizzazione disciplinare del clero e alla diffusione delle nuove idee riformate. In particolare promosse la diffusione del Beneficio di Cristo di Benedetto da Mantova, facendo aumentare i sospetti di eresia nei suoi confronti.

Nel 1546 prese parte ai lavori del Concilio di Trento, ma la sua presenza risultò poco gradita ed egli fu costretto a rientrare nella sua diocesi, abbandonando ogni speranza di una possibile riforma della Chiesa nel senso da lui auspicato.

In quello stesso anno, in seguito ad procedimento promosso contro di lui dal nunzio apostolico Giovanni Della Casa, fu interrogato davanti al tribunale dell’Inquisizione. In quella circostanza egli assisté all’agonia di Francesco Spiera, un avvocato di Cittadella, che, dopo essere stato costretto ad abiurare, era entrato in uno stato di profonda depressione ed era presto morto in preda ai rimorsi di coscienza. Vergerio fu profondamente scosso da questo avvenimento, di cui stese in seguito una relazione (Historia di Francesco Spiera, 1551).

Nella primavera del 1549, poco prima di essere condannato per eresia, decise di abbandonare definitivamente l’Italia. Raggiunse i Grigioni, quindi Coira ed infine Poschiavo, dove operava Dolfino Landolfi, unico stampatore italiano della Valtellina, che pubblicò diversi scritti che l’ex vescovo di Capodistria recava con sé nella fuga.

Dopo tre anni passati come pastore della chiesa riformata di Vicosoprano in Val Bregaglia, nel 1553 Vergerio accettò l’invito del duca del Württemberg e si trasferì a Tubinga come consigliere religioso. Negli anni seguenti, su incarico del duca, egli compì vari viaggi in Germania, Austria e Polonia. Inoltre, tra il 1561 e il 1564, insieme al sacerdote sloveno Primoz Trubar, intensificò la propria attività di pubblicista, impiantando una tipografia ed un istituto biblico a Urach e dando alle stampe varie opere religiose in sloveno, croato e italiano, tra cui il Piccolo Catechismo di Lutero e il Beneficio di Cristo. Vergerio morì a Tubinga il 4 ottobre del 1565.

 

Descrizione fisica. Un volume in 8vo di cc. (168).

F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010






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