Era il 1982 - anno più anno meno - quando Ermenegildo Maresca Riccardi, Gildo per gli amici, pubblicava a Roma rigorosamente senza data lo storico catalogo “ ‘900 “, quello con il logo della rivista di Massimo Bontempelli in coperttina, il primo a mettere in valore i libri del Novecento. Gildo aveva rilevato l'immensa biblioteca di Giuseppe Bottai, una biblioteca che altri librai della vecchia generazione avevano rifiutato - e c'era tutto ma proprio tutto il meglio del nostro Novecento, allora considerato cartaccia. Poi a quel catalogo ne seguirono altri con lo stesso logo e da quel momento, in Italia, altri e più giovani librai cominciarono a specializzarsi nella ricerca e nella proposta della “cartaccia”: si era aperto un nuovo mercato ma anche un nuovo capitolo della storia della nostra cultura, la riconsiderazione di un patrimonio d'arte e di poesia che pareva seppellito insieme al ventennio che l'aveva prodotto: il futurismo, i poeti e gli scrittori di ogni corrente, il libro illustrato, i cataloghi di mostre, le riviste, le carte povere e tanto altro.
Fra quei giovani librai c'eravamo anche Bruno e io. Gildo lo conoscevamo perché nella seconda metà degli anni ‘80 trattavamo principalmente libri d'arte. Anche in questo ambito lui era stato fra i precursori
a Roma, insieme all'amico inseparabile Alfredo Muratori. Gildo aveva deciso da tempo di abbandonare il libro antico: era la conseguenza della sua visione della vita: il libro antico, con i relativi obblighi sempre più impegnativi di compilazione del cosiddetto “registro della questura” e di richiesta della licenza di esportazione, gli stava togliendo il gusto oltre che il tempo di studiare, vendere e comprare. Era passato
ai libri d'arte, e a tutto quello che avesse meno di 100 anni, per non avere quegli impicci e continuare ad essere felice. Diceva, come si legge nella Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione in Italia di Claudio Messina: “I libri... comprarli è un divertimento, venderli è un'arte, guadagnarci è un miracolo”.
Andavamo in via Caposile, dietro la RAI: Gildo stava al numero 2, Muratori al 6. Erano giornate memorabili a sfogliare libri, fare affari, discutere su cosa era importante e cosa no. Oppure squillava il telefono: “Sì pronto? - A Pà... a BBrù...” e si avviava una interminabile conversazione. Partecipavamo alle mostre aiutandoci a vicenda a superare la noia o a sorvegliare lo stand per essere liberi di fare acquisti; sostavamo ora a Roma ora a Brescia per scambiarci i libri o semplicemente per stare insieme. Ci ha insegnato tanto il nostro Gildo. Non solo perché conosceva da sempre l'ambiente dei librai antiquari ma per il suo modo di considerare la vita e il mondo, il suo stile. Non l'ho mai visto adirarsi una sola volta, considerava le cose e gli uomini con una ironia indulgente, con leggerezza, era del resto di origini napoletane. Aveva un modo elegante di tenere la sigaretta fra le dita, e di guardare reclinando un poco il capo.
Ieri se n'è andato. Rimane indelebile nella memoria la sua figura distinta, la voce pacata e il senso di una amicizia rara, certi sorrisi certe risate certe passeggiate, la torre dove aveva vissuto e la terrazza fiorita, il quartiere ebraico e quando decise di andare in pensione per dedicarsi anima e corpo ai nipoti, tutta questa tenerezza da trasmettere a chi verrà dopo di noi.
Pà' e BBrù'
L'Arengario Studio Bibliografico
Gussago, 04.02.2019