ALBERTI, Leon Battista (1404-1472). De re aedificatoria. (Firenze, Niccolò di Lorenzo, 29 dicembre 1485).
PRIMA EDIZIONE, pubblicata postuma per le cure di Bernardo Alberti, fratello dell’autore, e dedicata da Angelo Poliziano a Lorenzo de’ Medici, del più importante trattato di architettura apparso dopo Vitruvio. Attraverso il recupero degli ordini e delle proporzioni classiche, in esso vengono espresse per la prima volta le concezioni estetiche che saranno fatte proprie dagli architetti del Rinascimento.
L’opera non venne più ristampata nel Quattrocento. Dopo le riedizioni di Strasburgo del 1511 e del 1541 e quella di Parigi del 1512, l’architettura dell’Alberti fu tradotta da Cosimo Bartoli e pubblicata a Firenze da Lorenzo Torrentino nel 1550.
La traduzione del Bartoli, pur non essendo la prima versione italiana del trattato, in quanto fu preceduta di quattro anni da quella, molto meno significativa, di Pietro Lauro, contribuì tuttavia in modo determinante alla diffusione dell’opera nel secondo Cinquecento.
I dieci libri del De re aedificatoria, ispirati agli stessi ideali morali e sociali espressi nella Famiglia, ora applicati al progetto di edifici che devono rispondere contemporaneamente alle esigenze pratiche degli uomini e alle armonie delle scienze matematiche, affrontano tutti gli aspetti dell’architettura: dal disegno tecnico ai particolari edilizi, come scale, finestre, archi, ecc; dai materiali di costruzione alle vie di comunicazione e ai canali; dai templi e dagli edifici pubblici a quelli privati; dagli ornamenti dei palazzi a quelli delle strade, dei sepolcri e dei teatri.
Il trattato, composto verso il 1450, fu il frutto di una fatica di molti anni di studio e di esperienza maturata nella pratica architettonica e fece giustamente guadagnare al suo autore il nome di “Vitruvio fiorentino”.
Leon Battista Alberti nacque a Genova da una famiglia fiorentina esiliata. Trasferitosi a Padova, frequentò probabilmente la scuola dell’umanista Gasparino Barzizza e conobbe il Panormita e Francesco Filelfo, dal quale apprese il greco. In giovane età compose la commedia Philodoxeos, facendo credere che fosse di un antico commediografo di nome Lepido. Quando nel 1588 gli eredi di Aldo la stamparono, la falsa attribuzione non era ancora stata corretta. Nel 1428 l’Alberti conseguì la laurea in diritto canonico a Bologna. Negli anni seguenti compose varie opere, tra cui i dialoghi volgari Ecatonfilea e Deifira, destinati ad un grande successo editoriale, che sono sostanzialmente l’equivalente dell’Ars amatoria e del Remedia amoris di Ovidio.
A Roma nel 1432 Alberti entrò al servizio, in qualità di segretario, del patriarca di Grado, Biagio Molin, e ottenne la carica di abbreviatore pontificio. Prese inoltre gli ordini sacri e fu nominato priore di San Martino a Gangalandi, nella diocesi di Firenze, e successivamente pievano di Borgo S. Lorenzo. Durante il soggiorno a Roma, Alberti cominciò a sviluppare il suo interesse per le vestigia dell’antica città e compì vari esperimenti ottici con gli specchi e con la camera obscura, di cui è considerato l’inventore. Negli anni romani, tra il 1433 e il 1434, compose inoltre il dialogo Della Famiglia, nel quale volle dare dignità e lustro alla lingua volgare.
Nel 1434 tornò a Firenze, dove strinse amicizia con Filippo Brunelleschi, Donatello, Burchiello, Vespasiano da Bisticci, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini. Colpito dal rinnovamento artistico della città, scrisse nel 1435 il De Statua e il De pictura, che fu stampato per la prima volta a Basilea nel 1540.
Dopo alcuni anni di viaggio al seguito della corte papale, nel 1439 il concilio si trasferì a Firenze e l’Alberti poté risiedere nella città toscana fino al 1443. Nel 1441 indisse il famoso Certame coronario, una gara poetica sul tema dell’amicizia volta a valorizzare il volgare toscano.
Nel 1443 tornò quindi a Roma, dove si dedicò prevalentemente ai suoi interessi scientifici ed artistici. Intorno al 1450 compose la satira Momus e poco dopo concluse anche il De re aedificatoria. Nel 1459 si recò a Mantova, dove conobbe Ludovico Gonzaga, che gli affidò la costruzione della chiesa di San Sebastiano. Al ritorno Alberti si fermò a Firenze, dove strinse amicizia con Lorenzo de’ Medici e partecipò alle riunioni dell’Accademia platonica. Nel 1466 scrisse il De componendis cifris, opera di crittografia in cui loda l’invenzione della stampa.
Negli ultimi anni si dedicò prevalentemente all’architettura, realizzando, tra le altre cose, la nuova facciata di Santa Maria Novella a Firenze e il tempio di S. Andrea a Mantova. Morì a Roma nell’aprile del 1472.
Descrizione fisica. Un volume in folio piccolo di cc. 204 non numerate.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010